Nel governo è allarme costante sul fronte giustizia. Appena finito di gridare alle «toghe rosse» contro la relazione tecnica dell’Ufficio del Massimario della Cassazione, che paventava il rischio di incostituzionalità del decreto Sicurezza e del protocollo con l’Albania, una nuova dichiarazione di incostituzionalità è arrivata sul serio dalla Consulta. E su un altro dei decreti simbolo dell’esecutivo Meloni.

I giudici costituzionali, infatti, hanno bocciato il decreto Caivano nella parte in cui esclude il reato di spaccio di lieve entità dalla messa alla prova, che è una misura alternativa al carcere. Il nuovo articolo 168 bis infatti ha previsto un aumento di pena, portata fino a cinque anni, che la impedisce.

Cade così un pezzo del decreto, che ha avuto come principale effetto l’esplosione del numero di minori reclusi negli istituti penali minorili ormai sovraffollati come le carceri ordinarie (basti un dato: nel periodo tra maggio 2023 e maggio 2024 il numero dei minorenni negli istituti penali è passato da 210 a 339, un più 61,4 per cento).

La Consulta ha accolto le questioni sollevate dai tribunali di Padova e Bolzano in riferimento all’articolo 3 della Costituzione: «É infatti irragionevole e foriero di disparità di trattamento che, tra i due reati a confronto, l’accesso alla messa alla prova sia precluso per la fattispecie meno grave (il piccolo spaccio), mentre per quella più grave (l’istigazione all’uso illecito di sostanze stupefacenti) sia, in astratto, ammissibile». Inoltre l’esclusione del piccolo spaccio dalla messa alla prova «frustra anche le finalità di deflazione giudiziaria che detto istituto persegue, in particolare, per i reati di minore gravità e di facile accertamento».

In altre parole, il decreto Caivano – almeno nell’articolo dichiarato incostituzionale – contribuisce a far crescere il numero di detenuti per reati di piccola entità: esattamente quelli per cui le misure alternative sono state pensate.

La dichiarazione di incostituzionalità appena arrivata potrebbe essere solo la prima: il tribunale per i minorenni di Roma ha sollevato, nell’aprile scorso, una questione di incostituzionalità su un altro articolo, che esclude automaticamente la messa alla prova del minore per alcuni reati considerati gravi (come la violenza sessuale in presenza di specifiche aggravanti), eliminando ogni possibilità di valutazione al giudice, con il paradosso invece di lasciarla come possibilità in casi di reati di grande pericolosità sociale come l’associazione mafiosa. Una questione che ha molti punti di contatto con quella accolta dalla Corte.

«Stavolta il governo non potrà liquidarla come un semplice commento interpretativo», ha detto il deputato di Più Europa, Riccardo Magi, sottolineando come «il decreto Caivano serve solo a soddisfare la smania panpenalista di Meloni e Salvini».Del resto anche sul decreto Caivano molti giuristi avevano paventato – oltre ai profili di incostituzionalità – anche il rischio che producesse un aumento del numero di detenuti per reati di strada.

La sentenza della Consulta, tuttavia, è una ulteriore riprova di come ad oggi le misure volute dal governo Meloni abbiano contribuito a far aumentare il numero di detenuti invece che ridurlo, quando le carceri ospitano già 16mila detenuti in più rispetto ai 46.792 posti disponibili e i suicidi da inizio anno sono stati 37.

Il carcere

L’ennesimo allarme lanciato dal presidente Sergio Mattarella, che nei giorni scorsi ha parlato di «vera emergenza sociale», rimane tuttavia inascoltato da mesi. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha nominato dieci mesi fa il commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria Marco Doglio, ma ad oggi il progetto dei paventati 7000 nuovi posti in tre anni non ha dato segni di essere in moto, se non con l’avvio di una gara pubblica per 384 nuovi posti entro il 2025: una goccia nel mare del costo di 32 milioni di euro.

Dalla maggioranza, invece, sono stati ripetuti solo dei no a qualsiasi ipotesi di liberazione anticipata come misura emergenziale. Nonostante le aperture del presidente del Senato, Ignazio La Russa all’ipotesi del cosiddetto decreto Giachetti (che portava a 60 gli attuali 45 giorni di liberazione anticipata ogni sei mesi in caso di buona condotta) uno stop è arrivato in particolare dalla Lega e anche Nordio si è detto scettico rispetto a qualsiasi soluzione che non sia quella di costruire nuove carceri.

Sollecitati dalle parole del Colle, gli uffici di via Arenula hanno rispolverato l’imminente arrivo di un nuovo piano – già annunciato da Nordio in audizione – che dovrebbe prevedere in particolare una detenzione differenziata per i tossicodipendenti in strutture medico-sanitarie adatte. Soprattutto Forza Italia prova a spingere in questa direzione. «Il governo è al lavoro su norme ad hoc», ha detto il portavoce Raffaele Nevi. Esattamente l’anno scorso se ne è approvato uno, che però si è rivelato un guscio vuoto, come dimostrano i numeri di oggi.

E anche l’ipotesi della detenzione diversificata per i tossicodipendenti è più che astratta oltre che molto complessa: le strutture di comunità per tossicodipendenti sono poche e i posti attualmente disponibili tra pubblico e privato sono meno di mille, mentre circa un terzo della popolazione detenuta ha problemi di tossicodipendenza. Inoltre questo prevederebbe di spostare su strutture sanitarie la gestione della detenzione, ma la sanità è di competenza delle singole regioni.

La contraddizione, dunque, resta: il governo a parole dice di voler intervenire sull’emergenza carcere, nei fatti non fa altro che aumentare il numero di reati e dunque di detenuti. «Se il governo intende continuare a moltiplicare i reati e le pene si prenda almeno il tempo di realizzare il suo faraonico piano di nuove carceri e strutture alternative, aprendo a un provvedimento parlamentare di amnistia e indulto», è l’appello del Garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasìa.

Intanto l’estate con temperature tropicali è l’ennesima vessazione sui detenuti, di cui lo Stato continua a dimostrare di non sapersi far carico.

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