Il primo consiglio dei ministri di Giorgia Meloni è intervenuto in modo urgente sull’ergastolo ostativo, inserendolo in un decreto legge. La scelta di utilizzare questo provvedimento, che ha come requisiti la necessità e l’urgenza, serve a impedire che la Corte costituzionale emetta la sentenza di incostituzionalità della norma, prevista dall’articolo 4bis dell’ordinamento penitenziario.

In realtà, però, l’ultimo giudizio spetterà comunque alla Consulta, che farà le sue valutazioni sul nuovo decreto legge nell’udienza dell’8 novembre.

Cosa è l’ergastolo ostativo

L’ergastolo ostativo, tra le misure di emergenza nella lotta alla mafia volute dal giudice Giovanni Falcone nel 1992, prevede che i condannati per alcuni reati gravi, in particolare mafia, terrorismo e associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, non abbiano la possibilità di accedere ad alcun beneficio penitenziario – come i permessi premio e il lavoro esterno – se non decidono di collaborare con la giustizia, dimostrando così il loro ravvedimento.

La Consulta, però, ha stabilito che fare «della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo». Secondo il report del Garante Nazionale delle persone private della libertà, in Italia i detenuti ostativi sono 1259, che corrispondono al 70 per cento degli ergastolani totali.

Cosa prevede il decreto legge

Il decreto legge approvato dal Cdm, almeno secondo la bozza anticipata da Public Policy, prevede che i benefici penitenziari non siano più condizionati esclusivamente alla collaborazione.

Tuttavia, il detenuto in regime di 4bis che non ha collaborato potrà accedere ai benefici solo se adempie ad alcune specifiche condizioni: dovrà dimostrare di aver «adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna» o dimostrare «l'assoluta impossibilità di tale adempimento» allegando «elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo» e «alla mera dichiarazione di dissociazione dall'organizzazione criminale di eventuale appartenenza».

Nella valutazione, che mira a verificare che il detenuto non abbia più collegamenti attuali con la criminalità organizzata e con il contesto nel quale ha commesso il reato e che non ci sia il pericolo di un ripristino di tali collegamenti, si terrà conto anche »delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile».

Infine, verrà valutata anche l’esistenza di iniziative del detenuto a favore delle vittime, sia in forma di risarcimento che di percorso di giustizia riparativa. 

Il decreto legge prevede anche che i detenuti per reati connessi all’associazione di stampo mafiosa, di scambio politico-elettorale di tipo mafioso, violenza sessuale, su minore e di gruppo, tratta illecita di migranti, traffico illecito di sostanze stupefacenti, induzione e sfruttamento alla prostituzione minorile e pornografia minorile non potranno comunque essere ammessi alla liberazione condizionale se non hanno scontato almeno due terzi della pena temporanea o almeno 30 di pena, in caso di condanna all'ergastolo.

Il dl specifica anche che le previsioni introdotte sono retroattive: si applicano quindi ai condannati che hanno commesso il reato “ostativo” prima dell’entrata in vigore del decreto.

Il contenuto del decreto legge ricalca in gran parte il testo approvato alla Camera (che non ha fatto in tempo a venire votato dal Senato) con l’accordo di tutta la maggioranza del governo Draghi e con l’astensione di Fratelli d’Italia. Tuttavia, il decreto legge di fatto rischia di non modificare nulla in concreto per i detenuti “ostativi”, perché inverte l’onere di dimostrare il loro ravvedimento anche senza la collaborazione, rendendo così quasi impossibile accedere concretamente ai benefici penitenziari.

Perché il governo è intervenuto

L’iniziativa urgente del governo con decreto legge nasce perché l’8 novembre è fissata l’udienza della Corte costituzionale in tema di ergastolo ostativo.

La Corte, infatti, aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’istituto attraverso una ordinanza – che è atto non definitivo – in cui aveva previsto un tempo per il legislatore per intervenire e riformare l’ergastolo ostativo secondo le indicazioni dei giudici costituzionali ma in modo organico nell’ordinamento.

La sentenza di incostituzionalità immediata, infatti, avrebbe cancellato la condizione esclusiva della collaborazione, permettendo quindi l’accesso degli ergastolani ai benefici senza alcuna gradazione.

Il parlamento della precedente legislatura, nonostante una proroga concessa dalla corte in estate, non è comunque riuscito ad approvare la riforma dell’ergastolo ostativo. 

Per questo il governo Meloni è intervenuto con la misura del decreto legge, di fatto recependo la legge approvata solo dalla Camera. In questo modo dovrebbe bloccare l’udienza dell’8 novembre e guadagnare sessanta giorni di tempo per convertire il decreto legge, così da poterlo ritoccare.

L’ultima parola alla Consulta

In ogni caso, il decreto legge non blocca l’udienza dell’8 novembre, in cui la Consulta comunque esaminerà la questione e valuterà anche il contenuto del decreto legge. E non è detto che lo valuti a sua volta incostituzionale.

La problematica è molto tecnica ma vale la pena di chiarirla. La Consulta si è espressa sull’ergastolo ostativo in seguito a un giudizio incidentale: ovvero in seguito a una questione di costituzionalità sollevata dalla difesa di un detenuto ostativo.

Questo fa sì che la Corte, dopo l’emanazione del dl, debba fare una valutazione sul decreto legge, per decidere se non tocca il caso concreto che ha fatto sorgere la questione di costituzionalità, se lo tocca in modo migliorativo, peggiorativo o neutro.

Se ritiene che il dl non incida sulla condizione di chi ha sollevato la questione di costituzionalità, oppure se ritiene che il dl sia la fotocopia della legge impugnata, può trasferire la questione di costituzionalità sulla nuova legge e dunque procedere con la dichiarazione di incostituzionalità anche delle nuove norme.

Se ritiene che il dl invece incida sul caso concreto, può rimettere la questione al giudice che ha sollevato il caso: spetterà al giudice ordinario, quindi, valutare se le previsioni del decreto legge rendano la questione concreta ancora attuale e quindi se la questione di costituzionalità possa considerarsi superata oppure vada ripresentata.

Tradotto: il governo non può aggirare una dichiarazione di incostituzionalità della Corte costituzionale semplicemente approvando una nuova legge ordinaria con contenuti pressochè identici a quelli della legge già indicata come incostituzionale.

La questione politica

Se Meloni non ha mai fatto mistero e anzi ha detto anche al Senato che l’ergastolo ostativo va difeso perché strumento essenziale per la lotta alla mafia, il ministro della Giustizia non la pensa nello stesso modo.

Carlo Nordio, quarantanni da pubblico ministero e posizioni “eretiche” sul carcere, tra le quali quella di voler abolire l’ergastolo, si è sempre espresso anche contro l’ergastolo ostativo. Nell’ultimo libro di Claudio Cerasa, Le catene della destra, lo definisce «un’eresia contraria alla Costituzione. Spiace per chi a destra la pensa così, ma il punto è evidente: il fine pena mai non è compatibile, al fondo, con il nostro Stato di diritto» e il principio di rieducazione della pena.

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