Tutti i consiglieri togati e i tre laici di minoranza del Csm hanno chiesto l’apertura di una pratica a tutela per l’Ufficio del Massimario della Cassazione, dopo l’ennesimo scontro tra toghe e governo.

«Alcune valutazioni tecniche contenute nelle relazioni hanno suscitato reazioni critiche da parte anche di esponenti delle Istituzioni, i quali le hanno definite come interferenze indebite nell’azione del legislatore o atti di condizionamento nei confronti dei magistrati; il Ministro della giustizia stesso se n’è detto “incredulo”, annunciando di avere dato mandato al proprio ufficio di gabinetto per conoscere il regime ordinario di divulgazione delle relazioni, e, infine, ha qualificato l’intervento del Massimario “irriverente verso il Capo dello Stato”, “improprio”, perché oltraggerebbe il Parlamento, e “imprudente”, perché contenente un “giudizio preventivo .. netto e polemico”», si legge nella richiesta.

Questo, secondo parte dei membri del Csm, «trascendono il piano della dialettica politico-istituzionale, trasmettendo alla pubblica opinione un’immagine deformata della funzione dell’Ufficio del Massimario e del ruolo nonché dei magistrati che la compongono. E’ sulla base di queste dichiarazioni che organi di stampa continuano a proporre accuse di politicizzazione alla Cassazione e all’ordine giudiziario tutto».

Per questi motivi arriva dunque la richiesta di intervento del Csm. Gli unici a non averla firmata sono stati i cinque laici in quota centrodestra.

La pratica a tutela

La pratica a tutela è un atto che non produce effetti concreti ma è una iniziativa volta a ottenere dal Consiglio, che è l’organo apicale della magistratura, difesa nei confronti del singolo magistrato o dell’ordine giudiziario. Si tratta quindi di una sorta di presa di posizione ufficiale, con cui il Csm stigmatizza parole o comportamenti considerati lesivi della categoria. L’atto ha quindi un peso politico, soprattutto in questo caso visto che viene proposto anche nei confronti delle esternazioni del ministro della Giustizia.

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