Non accenna ad abbassarsi la tensione tra governo e toghe. Dentro la maggioranza c’è la convinzione di avere solo nemici dentro la magistratura associata e anche quella istituzionale e a dimostrarlo sono state le durissime risposte arrivate all’indomani della pubblicazione della relazione tecnica dell’Ufficio del massimario della Cassazione su dl Sicurezza e intesa Italia-Albania.

Una sindrome da accerchiamento, la cui risposta è stata quella di un innalzamento dei toni con accuse di politicizzazione rivolte anche alla Suprema corte, arrivate da tutto l’arco di centrodestra che ha parlato di «delirio delle toghe rosse» e culminate dalla piccata replica del ministro Carlo Nordio. «Incredulo», ha dato mandato di capire per quali vie la relazione sul dl Sicurezza sia stata divulgata.

«Sa che non emergerà nulla, ma è stato un modo per dimostrare la sua irritazione», viene spiegato da chi conosce bene il ministro, il quale pure ha scelto di non replicare alle ben due interviste a Stampa e Corriere della Sera date dalla prima presidente della Cassazione, Margherita Cassano, in cui ha difeso il lavoro tecnico dei suoi uffici.

Eppure, chi segue il dibattito ha notato come ormai Nordio non si freni più nelle sue intemperanze verbali nei confronti delle alte corti e del Csm, dimenticando qualsiasi accortezza nel destreggiarsi in una galassia che – a ben vedere - è tutt’altro che necessariamente ostile nel rapporto col governo.

La Cassazione

Questo vale per la Cassazione, per ragioni istituzionali. La prima presidente Margherita Cassano, prima donna alla guida della Suprema corte e stimata da tutti i vertici oltre che in ottima sintonia con il Colle, ha infatti gestito il suo ruolo evitando qualsiasi polemica politica. Anche le sue interviste sono state centellinate: ha sempre preferito parlare nelle occasioni istituzionali, rimarcando la necessità di leale collaborazione tra le istituzioni.

Non a caso i suoi interventi, attentamente misurati, sono arrivati solo per difendere l’organo da lei guidato. Così è stato nel marzo 2025, quando la Corte è stata attaccata dal governo per una ordinanza in materia di migranti delle Sezioni unite civili. «Le decisioni della Corte di Cassazione, al pari di quelle degli altri giudici, possono essere oggetto di critica. Sono, invece, inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto», era stata la secca replica agli attacchi, tanto più dura proprio visto il consueto contegno della presidente.

Del resto, nella intricata geometria delle toghe, Cassano è da annoverare tra gli esponenti di spicco della magistratura più moderata. Nel 1998, la prima presidente è stata eletta membro togato del Consiglio superiore della magistratura con la corrente conservatrice di Magistratura indipendente.

L’esatto opposto culturale, dunque, delle «toghe rosse» sempre più spesso evocate dal governo e quindi non certo un profilo contrario in modo preconcetto all’esecutivo in carica.

Tanto più che, ora, la prima presidente è in scadenza. Il 4 settembre il plenum del Csm, alla presenza del presidente Sergio Mattarella, nominerà il suo successore e i due candidati rimasti in corsa sono il primo presidente aggiunto Pasquale D’Ascola e il segretario generale Stefano Mogini, entrambi invece considerati d’area progressista (in particolare D’Ascola è sostenuto da Area).

Il Csm

Lo stesso fastidio nei confronti delle costanti intemerate del ministro e di molti esponenti di governo nei confronti del Csm si respira anche nei corridoi di palazzo Bachelet. Il ministro, per sostenere la sua riforma della separazione delle carriere, usa sistematicamente tre ordini di argomenti e così ha fatto anche la settimana scorsa quando la legge costituzionale è arrivata in Senato. Ha criticato il Csm parlando di «mercimonio di cariche» durante gli anni del caso Palamara, che «non era circoscritto a pochi», è stato «archiviato troppo in fretta», e considerarlo risolto è come credere agli «asini che volano».

Ecco perché il sorteggio sarebbe l’unica via per azzerare i gruppi associativi, accusati di esercitare eccessiva influenza sul Consiglio. Altro cavallo di battaglia del ministro per spiegare la necessità di una Alta corte separata dal Csm è il fatto che il disciplinare sia troppo lasco nei confronti dei magistrati che sbagliano e questo sempre a causa del consociativismo delle toghe.

Peccato per un dettaglio, che è stato notato tra i parlamentari che nel centrodestra seguono i dossier sulla giustizia, oltre che dentro il Consiglio: l’attuale Csm per la prima volta dopo otto anni ha una maggioranza laica di centrodestra di cui il vicepresidente Fabio Pinelli – di area leghista – è espressione.

Quanto alle critiche di sistema mosse dal ministro, spulciando tra i dati pubblici, nella attuale consiliatura risultano 164 procedimenti definiti, di cui quasi il 40 per cento per cento concluso con condanna (in sette casi con la rimozione dall’ordine giudiziario, la pena più pesante).

Nel 2025 già si contano tre rimozioni e in una di queste – il caso di un magistrato condannato per maltrattamenti in famiglia – la sezione disciplinare ha optato per la condanna più severa rispetto alla richiesta della procura generale della perdita di un anno di anzianità. Quanto alle nomine, in questa consiliatura il 76 per cento di incarichi direttivi e semidirettivi è stato attribuito all’unanimità, su proposta della Quinta commissione che nei sei membri che la compongono è mista (un laico di minoranza, uno di maggioranza, un esponente di Mi, uno di Md, uno di Area e uno di Unicost).

I malpensanti potranno considerare i procedimenti ancora troppo pochi e le nomine ancora troppo connotate, tuttavia un elemento è certo: pur di sostenere la sua riforma, il ministro sta calando la sua scure su un organo a guida centrodestra, di cui – in una stagione meno conflittuale – il governo avrebbe avuto gioco facile nell’intestarsi i risultati.

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