Giustizia

Di fronte al dito alzato della vittima, quanto conta la difesa?

LaPresse
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In casi come quello di Grillo la difesa non ha di fronte una semplice “parte offesa” ma “la vittima” e già la definizione evoca la necessità di un necessario risarcimento che il processo dovrà inevitabilmente offrire

  • Lo sfogo di Beppe Grill è penoso, volgare ma a me più che di protervia sembra intriso di disperazione cieca. Anzi, mi ha creato pena e disagio.
  • Il pensiero, ideologico e tecnico assieme, oggi dominante nei tribunali è la diretta derivazione di movimenti  “Metoo”, per cui quando la sorte mette di fronte ad un imputato “un soggetto vulnerabile”, donna, minore, una vittima di mafia, un inquinato, i processi sono una  salita di sesto grado.
  • C’è un’esigenza di tutela di chi ha subito una violenza bestiale, ma consentitemi di dire che ciò si fa a scapito del diritto di difesa, gli imputati di reati contro i soggetti vulnerabili hanno meno diritti degli altri.

Giorgia Serughetti in un suo editoriale su Domani sul caso Grillo ha scritto che «non è lecito dubitare della parola di una donna basandosi sulle sue abitudini di vita, sul suo abbigliamento o sul modo personale con cui reagisce a quanto subito». Se si riferisce alla necessità che in un giudizio penale si mettano da parte i pregiudizi di ogni ordine e grado dice cosa ovvia: per esperienza diretta, già oggi il principio è acquisito nella legge ordinaria e nella Costituzione. Se invece Serugh

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