Nessun ucraino potrà essere estradato in Russia, perchè c’è il rischio che il detenuto possa subire trattamenti contrari ai diritti fondamentali a causa della propria cittadinanza. 

Questo orientamento, che in pochi giorni è già stato applicato due volte dai tribunali italiani, è il primo riflesso del conflitto tra Russia e Ucraina che tocca anche la giustizia.

Ad attivarsi in questa direzione è stato il ministero della Giustizia: il primo caso è del 3 marzo scorso e il caso ha avuto particolare eco mediatico perché ha riguardato il regista ucraino Eugene Lavrenchuk, ex direttore del Teatro Polacco, dell'Odessa Opera and Ballet Theater e della prima scuola ucraina di cinema e teatro.

Il regista era detenuto dal 17 dicembre nel carcere di Poggioreale, a Napoli, dopo che era stato fermato dalla Polizia di stato in quanto risultava condannato in Russia a dieci anni di reclusione per appropriazione indebita.

Il 20 gennaio 2022, la Russia aveva presentato formalmente la richiesta di estradizione e nella stessa data la Corte d’Appello di Napoli aveva stabilito di trasferire Lavrenchuk agli arresti domiciliari ad Avellino.

Durante l’udienza, Lavrenchuk si era definito «perseguitato politico», dicendo di essere stato vittima di minacce e aggressioni perchè si era rifiutato di prendere posizione sull’occupazione della Crimea da parte della Russia.

Il regista e il direttore

Poi, lo scoppio della guerra. Il caso di questo detenuto illustre ha nel frattempo scatenato l’attivismo degli artisti ucraini, che hanno chiesto la liberazione del regista e, attraverso la ministra della Cultura ucraina, erano partiti i primi contatti con il ministero della Giustizia italiano. In Italia, anche il deputato di Più Europa, Riccardo Magi, si era attivato con una interpellanza.

Fino al 2 marzo, quando la ministra Marta Cartabia ha richiesto e ottenuto dalla Corte di Appello di Napoli la revoca degli arresti domiciliari, che erano l’effetto della domanda di estradizione: «in considerazione dei drammatici sviluppi della situazione riguardante l’Ucraina», «gli attuali rapporti tra la Federazione russa e l’Ucraina inducono a ritenere sussistente e concreto il rischio che, in caso di estradizione, il Lavrenchuk Yevhen, che peraltro si è dichiarato oppositore politico del presidente Russo Putin e ha assunto in passato posizioni politiche di netta critica all’annessione della Crimea da parte della Federazione Russa, possa essere sottoposto, in ragione della sua condizione di cittadino ucraino oppositore politico, a trattamenti contrari ai diritti fondamentali della persona, ivi compreso il diritto di difesa», si legge nella richiesta ministeriale.

Il caso Lavrenchuck non è isolato ed è diventato un precedente. Il 9 marzo, infatti, la corte d’appello di Perugia ha negato l’estradizione in Russia di un cittadino ucraino accusato da Mosca di appropriazione indebita di 28 milioni e 700 mila rubli di una fondazione della quale era direttore. La corte ha revocato la misura del divieto d’espatrio e gli ha restituito i documenti e il passaporto.

Anche in questo caso, la decisione è derivata direttamente dal conflitto in corso. I giudici d’appello, infatti, hanno scritto che l’attuale situazione di guerra determina un rischio «sussistente e concreto» che l’uomo, in quanto cittadino di un paese invaso, subisca «trattamenti contrari ai diritti fondamentali della persona».

La richiesta è arrivata dall’Ufficio per la cooperazione giudiziaria internazionale del ministero della Giustizia, che ha ottenuto il via libera anche della procura generale di Perugia.

Le ragioni giuridiche

Di fatto, dunque, le estradizioni di cittadini ucraini in Russia sono bloccate e a sostegno di questo orientamento c’è la Convenzione europea di estradizione.

Il diritto europeo, infatti, stabilisce che l’estradizione non può essere concessa che esiste un rischio «sussistente e concreto» che la richiesta sia stata presentata con lo scopo di perseguire o punire il detenuto, a causa della sua razza, religione, nazionalità o opinioni politiche. L’estradizione, quindi, non può essere concessa se mette a rischio i diritti fondamentali della persona.

E, in questo momento, l’orientamento del ministero della Giustizia italiano è che la Russia non sia uno stato in grado di garantire l’incolumità dei suoi detenuti ucraini.

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