A parole, il governo promuove l’autonomia territoriale della Lega. Nei fatti, il progetto di Fratelli d’Italia è quello di accentrare a Roma tutte le decisioni che contano, anche in materia di Pnrr e anche se riguardano le regioni.

Martedì 14 febbraio, infatti, dovrebbe arrivare in pre consiglio dei ministri il decreto legge Pnrr, voluto dal ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto. L’uomo a cui la premier Giorgia Meloni ha affidato il ministero senza portafoglio che però è lo snodo cruciale per la gestione dei fondi europei è deciso a semplificare i meccanismi di gara e di assunzioni, così da sburocratizzare le procedure e raggiungere gli obiettivi fissati per il semestre 2023.

Tra le misure che sembrerebbero destinate a rafforzare le iniziative degli enti locali, ne spicca però una che, se confermata, accentrerà il passaggio più delicato – quello del controllo giurisdizionale – a Roma.

Tra le previsioni contenute nella bozza, infatti, ce n’è una che prevede che tutte le impugnazioni degli atti relativi alle procedure di affidamento dei contratti pubblici per il Pnrr, comprese le espropriazioni e tutti i procedimenti amministrativi connessi alla realizzazioni delle opere ricadano sotto la «competenza inderogabile del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma». In sintesi: per ogni ricorso amministrativo sulle opere del Pnrr, da Trento a Palermo, bisognerà presentarsi in via Flaminia a Roma, nella sede del Tar del Lazio invece che in uno degli altri tribunali amministrativi presenti nelle rispettive regioni.

Gli effetti 

Sulla carta, la decisione risponde alla logica di ottenere una omogeneità nelle pronunce, visto che a deciderle è lo stesso ufficio. In realtà, il rischio di toccare la giustizia, anche quella amministrativa, è di ingolfare un sistema delicato che è già in fase di riforma proprio per rispondere agli obiettivi del Pnrr.

«Se l’esigenza è quella di garantire uniformità di interpretazione c'è già il Consiglio di Stato e l'adunanza plenaria; tanto più che del nuovo contenzioso al Tar del Lazio non si occuperebbe una sola Sezione», è il commento di Gia Serlenga, presidente dell’Associazione nazionale magistrati amministrativi. «Se invece l'esigenza fosse quella di imprimere un'ulteriore accelerazione alle decisioni» continua la presidente «allora l’obiettivo non può essere centrato senza adeguate misure organizzative». Il Tar Lazio gestisce già oggi un carico di ricorsi pari ad un terzo del contenzioso nazionale ed è impegnato in un programma di smaltimento dell'arretrato voluto dallo stesso Pnrr. Ha avuto in questi ultimi anni un’iniezione di nuove assunzioni proprio per far fronte ad un simile impegno ma aumentare ulteriormente le sue competenze rischia di riportare tutto al punto di partenza. Con il rischio che i tempi di decisione invece che ridursi si allunghino. Un pericolo che invece non ci sarebbe se questo tipo di contenzioso rimanesse nelle sedi regionali dei Tar, posto che il tempo medio per una decisione di primo grado in materia di appalti è oggi di 111 giorni, quindi poco più di tre mesi, e 158 in secondo grado.

Peraltro il Tar del Lazio già si presenta oggi come un ufficio enorme, con molte più Sezioni degli altri Tar, con un'evidente squilibrio territoriale rispetto al disegno costituzionale che ha delineato un giudice amministrativo vicino ai cittadini e alle imprese.

Con la norma di Fitto, ai magistrati amministrativi romani finirebbero anche tutte le controversie legate al Pnrr che vedono il cofinanziamento dei ministeri e delle amministrazioni locali e dunque decisi secondo le leggi regionali, con procedure talora differenziate.

Questo potrebbe essere un altro dei punti critici, secondo Serlenga, perchè «si costringerebbe il Tar del Lazio a decidere sulla base di norme di altre Regioni mai applicate prima». Esiste un rischio ulteriore, con questo cambio di competenza in corsa: alcuni Tar hanno già deciso alcune controversie in materia di appalti Pnrr e altre potrebbero essere già state incardinate.

«Non esiste una vera ragione di spostare la competenza a Roma» è la conclusione di Serlenga, che lamenta un mancato confronto del governo con i magistrati amministrativi prima di assumere una decisione di questo tipo.  Interpellato, il ministro ha ha deciso di non rilasciare dichiarazioni.

E l’autonomia?

Depotenziando i tribunali periferici e quindi la giustizia di prossimità per le imprese sul territorio, a finire in discussione  è anche il principio dell’autonomia differenziata, che dovrebbe valere sia per il livello politico che per quello giudiziario, almeno nel primo grado.

Che il Pnrr sia però al centro di tensioni tra centralismo e autonomie, tuttavia, è ormai cosa nota. Già si sono levate spesso le critiche da parte delle regioni per la scarsissima condivisione dei progetti da parte dello Stato. Nei giorni scorsi questa critica è stata mossa di nuovo anche dal governatore del Friuli Venezia Giulia e presidente della Conferenza Regioni, il leghista Massimiliano Fedriga. «Non è possibile che il Pnrr sia qualcosa di estraneo agli altri programmi europei», ha detto, presentando il Programma regionale del Fondo europeo Sviluppo Regionale del Fvg 2021-2027 che vale oltre 500 milioni tra risorse del programma e aggiuntive regionali. «Il governo doveva decidere sì le sei missioni, ma poi avrebbe dovuto chiedere ad ogni territorio come intendesse svilupparle, anche perché per ogni territorio si devono individuare strade diverse per raggiungere lo stesso risultato. Questo non è stato fatto, quindi adesso diventa ancora più complicata l'integrazione».

Il rischio, adesso, è di accentrare non solo il livello decisionale, ma anche quello di risoluzione delle controversie amministrative che vengono decise sulla base proprio delle leggi regionali.

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