L’udienza a cui Ilaria Salis ha preso parte con le manette ai polsi e alle caviglie e con una catena intorno alla vita è stata il momento in cui la sua vicenda giudiziaria è diventata un caso mediatico. Tuttavia il percorso processuale è iniziato da tempo e anche la giustizia italiana – prima dell’ambasciata in Ungheria e del governo – aveva messo in allerta sulla situazione detentiva della maestra milanese.

Ricostruendo i fatti, Salis è detenuta nel carcere di massima sicurezza di Budapest da circa dodici mesi, dall’11 febbraio 2023. In quella data nella capitale ungherese si svolgeva la manifestazione di estrema destra il “Giorno dell’onore”, in cui gruppi neonazisti si danno appuntamento per commemorare un battaglione nazista.

Salis aveva preso parte a una contromanifestazione e, in seguito ai disordini avvenuti, era stata arrestata con l’accusa di aggressione, concorso in lesioni che potevano provocare la morte, e di far parte di una associazione estremista.

Secondo l’accusa, Salis avrebbe picchiato insieme ad altri, in distinti episodi, due manifestanti di estrema destra, che hanno riportato ferite guaribili in otto giorni. Del pestaggio esiste un video, ma gli aggressori sono irriconoscibili perché con volto coperto e Salis è stata arrestata in un secondo momento, insieme a due attivisti tedeschi.

Da allora è detenuta in carcere e l’offerta di patteggiamento avanzata dalla procura ungherese è di 11 anni di detenzione. Salis si è proclamata innocente, la sua difesa non ha avuto modo di visionare le prove e di ottenere gli atti con traduzione ma nel frattempo, e fino alla prossima udienza fissata per il 24 maggio, se nulla cambierà l’italiana rimarrà in carcere.

Quella di lunedì non è stata la prima udienza. Come ha raccontato il padre, ce ne sono state altre quattro e Salis è sempre arrivata in ceppi.

Il caso Marchesi

Del resto, la situazione di Salis era nota anche in Italia perché l’Ungheria ha chiesto l’estradizione di un altro italiano, il ventitreenne Gabriele Marchesi, accusato degli stessi reati e destinatario di un mandato di arresto europeo, che si trova ai domiciliari.

Il 5 dicembre 2023, però, la procura generale di Milano si è unita ai legali del ragazzo nell’opposizione al trasferimento in Ungheria. È in quella sede che la giustizia italiana, per la prima volta, è stata investita anche della vicenda di Salis.

Il sostituto procuratore generale Cuno Tarfusser ha chiesto di non estradare Marchesi sollevando la mancanza di proporzionalità tra la modestia dei fatti contestati e la sanzione prospettata, ma ha anche proposto che la Corte d’appello di Milano effettuasse accertamenti sulle condizioni carcerarie in Ungheria.

Negli atti dei difensori di Marchesi, è stata depositata anche una lettera di Salis datata 2 ottobre, in cui raccontava che per sei mesi non le erano state concesse telefonate, di essersi trovata senza carta igienica, sapone e assorbenti, di aver dovuto indossare abiti sporchi e di essere stata punta dalle cimici in cella.

Proprio in quella lettera, Salis descriveva anche che all’udienza di convalida era ammanettata e «con un guinzaglio di cuoio tenuto in mano da un agente», proprio come è stata vista nelle foto ora diventate pubbliche. Questa è la prassi dei processi in Ungheria. Eppure, e nonostante le condizioni detentive fossero note anche all’ambasciata italiana, nulla si è mosso.

Lo stato di diritto

Intanto, il 12 febbraio la Corte d’appello di Milano dovrà decidere sulla consegna di Marchesi all’Ungheria: la decisione è stata rinviata per mesi perché i giudici di Milano aspettavano che le autorità ungheresi rispondessero ai 15 quesiti sulle condizioni detentive, sullo stato di diritto e sull’indipendenza della magistratura nel paese.

La risposta, però, è arrivata in modo solo parziale: una breve relazione sulle norme ungheresi, ma nessuna precisazione sui trattamenti carcerari. «La proporzionalità è l’unico principio che può essere il grimaldello per evitare la consegna», ha spiegato il sostituto pg Tarfusser, che è stato anche giudice della Corte penale internazionale e ha aggiunto: «Nel momento in cui uno stato devia da una prospettiva europea comune sui diritti, io magistrato italiano devo tenerne conto».

Da quando al governo c’è Viktor Orbán la situazione della giustizia in Ungheria è progressivamente peggiorata. Secondo il Quadro di valutazione Ue della giustizia, la percezione dell’indipendenza della magistratura nel paese è a livelli minimi.

Sin dal suo primo mandato da premier nel 1998, Orbán ha sostenuto la necessità di una modifica del modello di governo della magistratura, affermando che l’autonomia del potere giudiziario rendesse impossibile il governo, e ha dato vita a una strutturale riforma di sistema volta a sottoporre le toghe all’esecutivo.

I cambiamenti in atto sono finiti spesso sotto la lente dell’Unione europea, che prevede regole stringenti sullo stato di diritto e ha sospeso 22 miliardi di fondi all’Ungheria, di cui solo a maggio 2023 è stata sbloccata una tranche, dopo alcuni piccoli cambiamenti in materia di giustizia che comunque non hanno soddisfatto tutti i requisiti previsti dalla Commissione.

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