A 24 ore dalla pubblicazione delle foto di Ilaria Salis in manette davanti a un giudice ungherese, dopo quasi 12 mesi di detenzione in condizioni disumane e ancora senza aver avuto accesso agli atti che la accusano, a palazzo Chigi si respira un certo imbarazzo. Ed è difficile non ricordare i proclami e la campagna politica che proprio Giorgia Meloni, dodici anni fa, aveva costruito sul caso dei marò arrestati in India con l’accusa di aver sparato a dei pescatori scambiati per pirati. All’epoca Meloni aveva parlato di «governi di eunuchi», chiedendo il «ritiro delle nostre truppe da tutte le missioni di pace finché i due soldati non saranno tornati a casa».

Del resto, il caso Salis è tanto più imbarazzante per Fratelli d’Italia perché avviene in un paese considerato alleato come l’Ungheria di Viktor Orbán, con cui Meloni ha da tempo un rapporto privilegiato. Domani i due si incontreranno al Consiglio europeo straordinario. La sera di martedì 30, però, si sono sentiti telefonicamente e, «nel pieno rispetto dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura ungherese» la premier italiana ha «portato l’attenzione del primo ministro Orbán sul caso della nostra connazionale Ilaria Salis». L’impressione è che una soluzione potrebbe arrivare a breve.

Imbarazzi e reticenze

La vicenda tuttavia ha mandato in tilt l’esecutivo, tra imbarazzi e reticenze. Il caso Salis è scoppiato ora grazie alle immagini dell’udienza di lunedì, ma era noto da mesi. Il padre della donna si era attivato per contattare membri dell’esecutivo, c’erano state interrogazioni parlamentari, membri dell’ambasciata italiana in Ungheria erano allertati e anche i giudici di Milano erano al corrente. La linea, però, è quella del “non vedo, non sento e non parlo”. Gli unici due ministri che infine si sono esposti sono stati quelli che proprio non potevano più tacere. Gli altri sono rimasti in silenzio, mentre Francesco Lollobrigida ha addirittura negato di aver visto le foto che erano su tutti i giornali di oggi: «Non commento cose che non ho visto». Il guardasigilli Carlo Nordio si è limitato a un laconico comunicato in cui ha parlato di «immagini molto dure», ma «la magistratura ungherese è sovrana» e «stiamo facendo tutto il possibile per attenuare le condizioni rigorose in cui Salis è detenuta».

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha dovuto difendersi da un fuoco di domande della stampa e dell’opposizione in commissione Esteri. Il ministro ha detto di aver saputo solo lunedì della situazione, di aver convocato l’ambasciatore ungherese e di aver dato mandato di esprimere l’aspettativa del governo che a Salis venga accordata al più presto la custodia cautelare ai domiciliari, «in linea con la normativa europea». Molta cautela e altrettanto imbarazzo, anche perché, stando alle parole di Tajani, nessuno dell’ambasciata italiana a Budapest si sarebbe curato di avvertirlo della situazione né di mettere in moto alcun meccanismo a tutela, anche se la detenzione era in corso da mesi e con altre udienze già svolte in condizioni uguali a quella fotografata.

Del resto Tajani si è anche premurato di specificare che «se vogliamo parlare in punta di diritto, Orbán non c’entra niente», perché «la magistratura è indipendente». Parole di circostanza, visto che proprio l’Ungheria è da anni al centro di un braccio di ferro con l’Unione europea proprio per le sue riforme dell’ordinamento giudiziario e l’espressa volontà di Orbán di sottoporlo all’esecutivo.

Nel frattempo le opposizioni hanno chiesto che Meloni riferisca in parlamento e alla richiesta si sono associate anche Lega e Forza Italia. Da cui, però, trapela una posizione abbastanza netta: le condizioni di gestione dei detenuti in Ungheria non sarebbero poi così diverse da quelle italiane. Marco Scurria di FdI ha detto che «lo abbiamo visto anche in Italia: persone trascinate con catene e manette dal futuro ministro Di Pietro. Lo abbiamo visto ancora oggi con tante persone, ma non solo in Italia». Anche il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che il 2 febbraio incontrerà il padre di Ilaria Salis, ha detto che «ho notizia anche in Italia di un sistema non molto dissimile, perlomeno per gli uomini, un po’ meno per le donne. Cioè di guinzaglio, manette, ma non ai piedi».

Ancora più fredda la posizione della Lega, con il vicesegretario Davide Crippa che ha liquidato il caso con un «Ogni paese punisce come vuole e non compete a me giudicare quello che si fa in altri paesi», a cui si è aggiunto Rossano Sasso, che ha già messo le mani avanti: «Se fosse colpevole sarà doveroso radiarla dalle graduatorie ministeriali», visto che Salis di professione è maestra. Da parte di esponenti del centrodestra sono già cominciati i distinguo, ragionando della possibile colpevolezza dell’attivista antifascista. Il padre, Roberto Salis, lo ha già fatto notare: «Sta crescendo un’onda per cercare di screditarla» come se le sue condizioni di detenzione fossero accettabili nel caso in cui venisse condannata.

Il colloquio con l’amico Orbán potrà forse sortire l’effetto sperato di far ottenere a Salis i domiciliari. Il punto, tuttavia, è politico: il caso era noto da mesi e anche ora che è scoppiato il governo si è mosso abbastanza lentamente, limitandosi a battute di circostanza, sostenendo di averne avuto notizia solo ora e premurandosi di fare distinguo rispetto alla posizione dell’alleato Orbán. Lo ha fatto notare il leader Cinque stelle Giuseppe Conte: «I nostri patrioti non si sono dimostrati così solerti nei confronti della nostra connazionale».

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