Lo stop all’abuso d’ufficio è salvo e così tiene almeno una delle riforme volute dal governo Meloni. La Corte costituzionale, infatti, si è espressa sul ddl Nordio che ha abrogato il reato di abuso d’ufficio e la ha dichiarata costituzionale.

La sentenza con le motivazioni verrà depositata nelle prossime settimane ma – fa sapere una nota stampa della Consulta – i giudici costituzionali hanno esaminato le questioni di legittimità costituzionale sollevate da quattordici tribunali e dalla Cassazione, in cui si sottoponeva al giudizio della Corte se l’abrogazione del reato non fosse in contrasto con gli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (la convenzione di Merida).

La Corte ha dichiarato infondate le questioni «ritenendo che dalla Convenzione non sia ricavabile né l’obbligo di prevedere il reato di abuso d’ufficio, né il divieto di abrogarlo ove già presente nell’ordinamento nazionale».

Subito è arrivata la reazione di «massima soddisfazione» di Nordio, che ha sempre sostenuto che l’Italia ha un solido apparato penale contro la corruzione, di cui l’abuso d’ufficio era solo un tassello e che la Convenzione di Merida impone un obbligo di incriminazione per le sole fattispecie corruttive, mentre rimette alla scelta degli stati membri quella sull’abuso d’ufficio. E dello stesso avviso si sono mostrati anche i giudici costituzionali. «Mi rammarica che parti della magistratura e delle opposizioni abbiano insinuato una volontà politica di opporsi agli obblighi derivanti dalla convenzione di Merida. Auspico che nel futuro cessino queste strumentalizzazioni», ha concluso il ministro, che ha incassato un indubbio successo.

I rischi dell’abrogazione

Il pericolo di incostituzionalità del ddl Nordio, filtrato in via informale anche dal Quirinale, era stato sostenuto in particolare dall’Associazione nazionale magistrati e da una parte della dottrina giuridica, ma anche le opposizioni avevano battuto su questo tasto nel contrastare l’approvazione del testo.

Al netto della sua oggi comprovata costituzionalità – almeno sotto il profilo del rispetto dei trattati internazionali – l’abrogazione del reato ha già prodotto e produrrà conseguenze giuridiche rilevanti. La cancellazione dell’abuso d'ufficio ha fatto sparire 3.623 condanne definitive negli ultimi 25 anni: le condanne sono state revocate e le pene in esecuzione sono cessate. Il giurista Gian Luigi Gatta ha inoltre spiegato a Domani in un’intervista che «Non sono più punibili almeno tre condotte di malaffare nella pubblica amministrazione. L’abuso di vantaggio, che prevede la strumentalizzazione del potere da parte del pubblico ufficiale per fini personali. Il più odioso abuso di danno, nel caso di un pubblico ufficiale che abusi del suo potere per provocare un danno ingiusto a un cittadino. Ma soprattutto l’omessa astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, che di fatto era una tutela rispetto al conflitto di interessi». Pur considerato un reato piuttosto fumoso anche se spesso spia di fattispecie più gravi, l’abrogazione ha creato ambiti di impunità per gli amministratori locali che abusano dei loro poteri. Anche per questo la leghista Giulia Bongiorno, al momento del via libera al ddl, aveva annunciato che tutto il pacchetto di reati corruttivi avrebbe dovuto essere rimodulato. Ad oggi, però, non ci sono notizie in questo senso. Ora l’attesa del mondo giuridico è di leggere le motivazioni della Consulta, che certamente verterà sugli articoli 10 e 11 della Costituzione, ma potrebbe anche spingersi oltre. Non è escluso, tuttavia, che possano essere sollevate in futuro ulteriori questioni di legittimità.

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