L’abrogazione dell’abuso d’ufficio è al vaglio della Corte Costituzionale. Questa mattina, mercoledì 7 maggio, l’udienza sulla legittimità della riforma, fortemente voluta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ha cancellato il reato dei cosiddetti “colletti bianchi”. 

Quattordici le ordinanze che sono state trattate: tredici dei giudici di merito, una della Corte di Cassazione. Tutti provvedimenti con cui sono state sollevate, durante il giudizio, le questioni di legittimità. 

In particolare, l’avvocato Manlio Morcella, costituitosi parte civile nella causa, ha invitato i giudici costituzionali a formulare un rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di giustizia europea. Qualora la Consulta accogliesse questa istanza, prima di pronunciarsi dovrà aspettare la decisione dei giudici europei. «L’abolizione dell’abuso d’ufficio – ha detto il legale nel corso dell’udienza – ha indebolito l’apparato amministrativo. Eppure, il dibattito dopo l’abrogazione della norma di cui si discute è stato astratto. Oggi chi è a favore della riforma che ha cancellato il reato in questione non può opporre la violazione dei principi di retroattività della legge penale: bisogna pensare che tutte quelle condotte un tempo punibili non lo sono più e che quelle stesse condotte sono state realizzate da soggetti che, quando le ponevano in essere, erano coscienti dell’esistenza del reato». 

Imprenditori, dirigenti ospedalieri, professori universitari, magistrati – e gli altri pubblici ufficiali coinvolti nei procedimenti “sospesi” a causa delle istanze di legittimità costituzionale che sono state sollevate nel corso dei rispettivi giudizi – “rischiano” di fatto di essere assolti «perché – ha detto il giudice relatore in Consulta – l’abuso d’ufficio non esiste più». Tuttavia, ha continuato, «i rimettenti dubitano della compatibilità dell’abrogazione con la Costituzione e con la Convenzione di Merida, da cui discenderebbe il divieto di abrogare il reato di abuso di ufficio o almeno il divieto di abrogarlo in mancanza di misure alternative». 

Ciò che si sottolinea, più in particolare, è che l’abrogazione dell’articolo 323 del Codice penale sia inosservante degli obblighi internazionali: come detto con la riforma Nordio sarebbero state violate, secondo le diverse ordinanze, i principi della Convenzione Onu contro la corruzione (2003), meglio nota come Convenzione di Merida. E, ancora, gli articoli della Costituzione. 

«Violando gli articoli 3 e 117 della Carta – è stato detto nel corso dell’udienza – si ha un esercizio irragionevole del potere legislativo, ma soprattutto si produce un nuovo assetto normativo che lascia sforniti dei parametri di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione». 

Un fatto, quest’ultimo, non condiviso dagli avvocati dello Stato Figliolia, D’Ascia e Di Benedetto che rappresentato il presidente del Consiglio dei Ministri. Nella loro memoria si legge: «Si ritiene opportuno rilevare che non è condivisibile la lettura della Corte di Cassazione secondo cui in buona sostanza l’abrogazione del reato di abuso di ufficio avrebbe irragionevolmente indebolito il livello di tutela del principio di imparzialità e l’efficacia del contrasto del malaffare, in quanto all’abrogazione di tale reato non si sarebbero accompagnate misure compensative (...). Infatti, il livello di tutela, globalmente considerata, che l’ordinamento appresta in relazione all’imparzialità e al buon andamento nella pubblica amministrazione è ancora robusto, come effettiva è la capacità dell’ordinamento di contrastare il malaffare». 

Per l’avvocato Morcella, al contrario, sussiste una ragione logica affinché la Consulta “ripristini” il reato o rinvii la questione in Europa. Perché? Perché «non si può aderire alla intesa internazionale (Convenzione di Merida, ndr) protesa ad avversare i fenomeni corruttivi – spiega il legale –, anche nelle forme che anticipano condotte di corruzione, e poi smantellare o indebolire gli strumenti – specie se di natura penale – già presenti per lo scopo nell’ordinamento dello Stato contraente». 

Adesso a essere attesa è soltanto la decisione della Consulta. 

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