È tempo di nomine al Consiglio superiore della magistratura, e tutte spinose. I posti di chiave da riempire sono tre: sono vacanti la procura di Roma, ancora immersa nei postumi del caso Palamara, e la procura di Milano, orfana di Francesco Greco ed epicentro dello scontro all’ombra del processo Eni; il vertice della procura nazionale Antimafia, invece, sarà lasciato a febbraio 2022 da Federico Cafiero de Raho.

Tre nomine di peso, strettamente connesse una con l’altra e che producono conseguenze a seconda di chi verrà nominato, liberando altre caselle delicate come la procura di Napoli, quella di Catanzaro e quella di Palermo.

Il gioco a incastri

La nomina del procuratore capo di Roma è la più impellente perché sospesa da molti mesi, dopo che il Consiglio di Stato ha confermato l’annullamento della nomina di Michele Prestipino, attualmente rimasto al vertice della procura come facente funzioni.

I due ricorsi accolti sono quelli del procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi e del procuratore generale di Firenze, Marcello Viola e ora i curriculum dei tre sono di nuovo al vaglio del consiglio. La quinta commissione per gli incarichi direttivi sta rimandando la decisione da settimane: si è riunita sia lunedì che ieri ma si è limitata a un dibattito sulle questioni amministrative.

La decisione potrebbe arrivare giovedì 18 novembre ma la questione è delicata. Secondo pronostico, la commissione (che nel frattempo è stata rinnovata nei suoi membri) è così divisa: Viola avrebbe il sostegno dei due togati Antonio D’Amato di Magistratura Indipendente e di Sebastiano Ardita di Autonomia e Indipendenza e del laico di Forza Italia, Alessio Lanzi. Lo Voi, invece, quello dei togati Alessandra Dal Moro di Area e Michele Ciambellini di Unicost. Incerto, invece, il voto del laico Fulvio Gigliotti.

Se anche solo un voto andasse a Prestipino, tutti e tre i nomi arriverebbero davanti all’assemblea del plenum, che deciderà definitivamente a chi assegnare la procura più importante d’Italia e potrebbe disattendere il giudizio dei giudici amministrativi.

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Anche senza un Luca Palamara a gestire le convergenze tra correnti e candidati, le nomine rimangono però un gioco a incastri. I candidati, infatti, hanno presentato candidature multiple in questi ruoli, quindi ogni assegnazione condiziona le altre secondo gli equilibri che sono emersi in chiaroscuro negli ultimi mesi.

A Milano, tra gli otto candidati ci sono il procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli e il procuratore di Bologna Giuseppe Amato. In pole position, però, c'è Maurizio Viola, nel caso in cui a Roma venisse alla fine nominato Francesco Lo Voi.

A Roma però la corsa è ancora aperta e l’unico candidato che sembra avere meno possibilità è proprio Viola. Per molti togati, nominarlo vorrebbe dire riavvolgere il nastro al maggio 2019 e dar ragione all'accordo dell'hotel Champagne e al metodo Palamara che proprio sul suo nome aveva trovato convergenza. Più semplice quindi sarebbe scegliere Lo Voi, che così libererebbe la procura di Palermo cui potrebbe ambire proprio Michele Prestipino.

Quest’ultimo, però, non sembra del tutto fuori dai giochi: Lo Voi, infatti, ambirebbe preferibilmente a prendere il posto di Federico Cafiero De Raho come procuratore nazionale Antimafia.

Per questo ruolo, tuttavia, oltre a lui i pretendenti sono molti: tra gli altri si sono candidati sempre Viola, ma anche il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. Il candidato con più titoli per ambirvi sarebbe però Giovanni Melillo, attualmente procuratore capo di Napoli.

16/05/2018 Roma, Salone della Giustizia; dibattito sul terrorismo. Nella foto Federico Cafiero De Raho

Destreggiarsi è complicato, anche perché questa tornata di nomine è anche probabilmente l’ultima a svolgersi con le attuali regole e chiuderà definitivamente un ciclo che è stato condizionato profondamente dai meccanismi correntizi.

Il Csm – funestato dallo scandalo della loggia Ungheria e prima ancora del caso Palamara – verrà rieletto nel luglio del 2022 con una nuova legge elettorale, contenuta del ddl di riforma dell’ordinamento giudiziario.

La riforma del csm

Sulla legge elettorale si stanno accapigliando le correnti della magistratura, ma nel disegno di legge che - secondo il Pnrr - dovrà essere approvato entro dicembre è contenuto anche un deciso irrigidimento dei criteri delle nomine.

La proposta contenuta nella relazione dei tecnici e che il ministero della Giustizia dovrebbe a breve trasporre in un maxi-emendamento da presentare in commissione, infatti, prevede cambiamenti significativi nelle regole.

Sul piano formale, i procedimenti di nomina ai posti direttivi dovranno avvenire secondo un preciso criterio cronologico, con eventuali deroghe motivate. In questo modo si eviterà proprio quello che rischia di avvenire in questi mesi: che si accumulino nello stesso momento nomine di peso tutte con gli stessi candidati, che il Csm distribuisce con un gioco di specchi.

Sul piano del merito, invece, i criteri di valutazione dei candidati verranno cristallizzati in una legge di rango primario e quindi non più lasciati alle circolari interne del Consiglio. Secondo l’indirizzo, al Csm rimarrà un margine ragionevole di discrezionalità ma nell’alveo di indicatori, generali e specifici, prefissati dal legislatore per legge.

Proprio questa previsione è stata fortemente avversata nel dibattito dentro al Csm, sostenendo che questo limiti l’autogoverno dell’organo. Infine, per mettere fine al cosiddetto “carrierismo”, il governo dovrebbe proporre una disciplina che renda poco favorevole l’abbandono di un incarico prima della scadenza per candidarsi ad un altro.

Questo pacchetto di correttivi, oltre che un Consiglio rinnovato con una nuova legge elettorale che sembra essere orientata a un sistema proporzionale, dovrebbero essere la cura dopo gli scandali degli anni passati. Proprio queste modifiche, tuttavia, caricano più peso strategico l’attuale tornata di nomine, l’ultima guidata dalle logiche esistenti.

 

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