Le intercettazioni agitano la maggioranza, in un rimbalzare di distinguo e di specificazioni. Poco importa che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, non abbia mai detto di voler limitare le intercettazioni per i reati di mafia e terrorismo: il fronte è aperto dopo l’arresto del boss Matteo Messina Denaro. Le opposizioni attaccano e il guardasigilli, intervenuto alla Camera, deve barcamenarsi in lunghi distinguo. Nordio non vacilla nell’intenzione di cambiare il sistema delle intercettazioni giudiziarie, in cui «il pasticcio è colossale» perchè transitano da troppe mani e poi « escono sui giornali notizie che diffamano l'onore delle persone», tuttavia è costretto sulla difensiva, anche se ha lanciato l’appello a «non essere supini e acquiescenti alle affermazioni dei pubblici ministeri».

L’antimafia

Anche sul tema dell’antimafia e del dibattito successivo all’arresto di Messina Denaro, Nordio si è prestato a uno scontro con il deputato Cinque stelle ed ex magistrato Federico Cafiero de Raho,  che lo accusava di non capire nulla di mafia.

«La mafia e la borghesia mafiosa? Sono state usate parole di significato sociologico anche abbastanza cruente nei confronti della borghesia. Allora, se questo è vero, significa che in questi ultimi trent'anni la lotta contro la mafia è fallita», ha detto, precisando che «se è vero che noi oggi siamo circondati da una mafia che si è infiltrata dappertuto la domanda allora è: ma dov'era l'antimafia? dove erano le legislazioni antimafia se siamo arrivati a questo risultato?».

Nordio ha spiegato di essere certo che l’antimafia abbia lavorato bene, ma anche «che l'Italia non sia così infiltrata da tutte queste articolazioni mafiose che si siano insinuate fino ai meandri più intimi della nostra vita individuale. Ecco, la realtà sta nel mezzo». Parole dure, poi, le ha rivolte a Cafiero De Raho, dicendo che «avendo lei fatto, e molto bene, il Procuratore nazionale antimafia, ha una visione pan-mafiosa dello Stato».

Nonostante il consenso di facciata all’intervento del ministro, tuttavia, Giorgia Meloni – la prima a rilanciare sul carcere duro – e la Lega sanno che toccare lo strumento caro ai pubblici ministeri produrrebbe il rischio di inimicarsi una magistratura già contraria ad ogni modifica e anche una parte di opinione pubblica. 

Nel momento di massima difficoltà del governo sulla questione delle accise sulla benzina, infatti, l’arresto di Messina Denaro è stato una potente arma di consenso, che Meloni ha sfruttato per lucidare l’immagine al suo governo.

Il Csm

Di qui sia il freno e i distinguo sulle intercettazioni che la decisione di far saltare il suo stesso ex nome forte per i laici del Csm, Giuseppe Valentino, alla notizia di una possibile inchiesta a suo carico a Reggio Calabria per fatti legati alla ‘ndrangheta. L’inciampo, che però probabilmente costerà la vicepresidenza del Csm a FdI, è stato rimediato ieri con il secondo voto e l’elezione del professore siciliano Felice Giuffrè.

Ora il nuovo consiglio potrà iniziare ad operare, dando voce istituzionale alla magistratura nel confronto con il ministero della Giustizia. Per questo il Csm sarà un luogo nevralgico, se e quando i roboanti annunci di Nordio su separazione delle carriere e riforma delle intercettazioni prenderanno corpo.

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