Dalla cattura del mafioso Matteo Messina Denaro allo scivolone sulla nomina dei laici del Csm il passo è brevissimo.

La giustizia rimane il settore più scivoloso per il governo Meloni: strumento di propaganda ma anche causa di profondissime divisioni nella maggioranza, dove convivono sensibilità molto diverse. Il diritto penale dà grande visibilità ma anche trascinare in polemiche da emicrania e ne sa qualcosa il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che nella sua relazione al Senato ha dovuto ritornare sul tema delle intercettazioni. Il suo obiettivo è quello di ridimensionarle, riducendo i reati per cui sono consentite, limitando la spesa e bloccandone la pubblicazione.

Gli applausi per lui, però, si sono zittiti proprio con l’arresto del boss latitante: i magistrati hanno ricordato quanto le intercettazioni siano state fondamentali, e le opposizioni lo hanno attaccato. «Risposte date da un sordo a delle domande che nessuno gli pone», si è difeso il ministro, citando Shakespeare.

Ha detto che le riforme «non toccheranno le intercettazioni sulla mafia e sul terrorismo» e dato lettura autentica delle sue stesse parole: «Quando ho detto che i mafiosi non parlano per telefono, alludo al fatto che ritengo che nessun mafioso abbia manifestato al telefono la volontà di delinquere, o comunque detto cose che costituiscono prova di un delitto in atto o programmato».

Anche sul carcere il ministro ha dovuto mitigare il suo storico garantismo, dopo che la premier, Giorgia Meloni, ha rivendicato il mantenimento del carcere duro come uno degli strumenti che hanno permesso la cattura di Messina Denaro. «Assicureremo la certezza della pena, che non coinciderà sempre solo con il carcere, ma che sarà comunque afflittiva, certa, rapida, proporzionata e orientata al recupero», ha detto Nordio in aula e proprio il termine “afflittiva” rappresenta il ridimensionamento delle sue posizioni.

Alla luce delle tante divisioni sul penale che potrebbero metterlo in minoranza nella sua stessa maggioranza, il ministro ha scelto la prudenza ed enfatizzato priorità meno mediatiche e più concrete: «Accelerare e razionalizzare la nostra giustizia civile e ridurre l’impatto negativo nei confronti della nostra economia».

Il pasticcio Csm

Tuttavia, la giustizia rimane il terreno dei maggiori inciampi del governo e l’ultimo dovrebbe trovare parziale rimedio oggi. L’elezione dei membri laici del Csm - quattro su dieci in quota Fratelli d’Italia, di cui tre donne – ha mostrato l’inesperienza del governo nel gestire un passaggio d’aula spinoso.

A gestirlo insieme a Meloni è stato Ignazio La Russa, nonostante il ruolo istituzionale di presidente del Senato che da subito gli è andato stretto, il quale è stato ispiratore di almeno due nomi su quattro per FdI e ha fatto da collante nella gestione delle trattative con le minoranze. Tuttavia la sbavatura è stata clamorosa, con il ritiro in corsa del nome forte dell’ex sottosegretario Giuseppe Valentino - dopo la notizia di possibili indagini a suo carico nell’ambito di un’inchiesta per ‘ndrangheta a Reggio Calabria - e la mancata elezione immediata del professore siciliano vicino all’Msi, Felice Giuffrè.

Un pasticcio anche perchè il candidato di minoranza e outsider per la corsa della vicepresidenza, il professore pisano Roberto Romboli espresso dal Pd, è stato il più votato con 531 voti, superando anche il primo laico di centrodestra, l’azzurro Enrico Aimi che ne ha totalizzati 517. Una magra consolazione per gli azzurri, che hanno incassato un solo eletto e in molti si sono lamentati sia dell’ingordigia di FdI nel pretenderne 4, ma hanno anche criticato la gestione interna della trattativa.

Storicamente se ne occupava il compianto Niccolò Ghedini e in questa tornata se ne sono disinteressati i parlamentari più esperti, come il viceministro Francesco Paolo Sisto e il capogruppo in commissione al Senato, Pierantonio Zanettin. Risultato: la pratica sarebbe stata gestita dalla capogruppo al Senato, Licia Ronzulli, poco addentro alla materia e non in grado di blandire gli alleati per spuntare il nome in più.

Per questo si è deciso di correre ai ripari: visti i numeri, con i candidati delle opposizioni eletti meglio del previsto e tanti franchi tiratori sui nomi del centrodestra, la seduta comune del parlamento è stata anticipata ad oggi, per eleggere Giuffrè nell’ultimo posto mancante.

Doveva avvenire martedì prossimo, ma in una settimana possono di cambiare molte cose. La sollecitazione per anticipare sarebbe arrivata anche dal Quirinale, che presiede il consiglio e vorrebbe il nuovo Csm operativo il prima possibile, dopo quattro mesi di stand by tra l’elezione dei membri togati e dei laici, visto anche che il 26 gennaio è in programma l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Sulla carta non dovrebbero esserci intoppi: il Pd ha assicurato che manterrà i patti e voterà Giuffrè e così dovrebbe fare anche il terzo polo. Tuttavia, per FdI sembra sfumata la presidenza dell’organo di governo autonomo della magistratura, dove si annuncia una corsa a due tra il laico in quota Lega, Fabio Pinelli, e il giurista dem Romboli.

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