Per analizzare la condanna in primo grado all’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, bisognerà aspettare le motivazioni della sentenza. Per ora provoca scalpore e indignazione la pena di 13 anni e 2 mesi: abnorme secondo buona parte del mondo politico, stupefacente perfino per la procura di Locri, che aveva chiesto 7 anni e 11 mesi.

Esiste un primo livello del dibattito, che riguarda l’inchiesta in quanto tale: «Non condivido la linea interpretativa di chi difende Lucano sostenendo che esista una giustizia superiore alle leggi e che la sua sia stata disobbedienza civile», dice il parlamentare del Pd Stefano Ceccanti, che è anche professore di diritto pubblico. La disobbedienza civile prevede la coscienza di infrangere la legge per ragioni superiori, mettendo in conto la condanna e la pena. «In questo caso, invece, il problema è l’applicazione della legge: ci può essere stata una limitata violazione ma è stata la stessa procura a stupirsi della condanna così sproporzionata. Anche l’intervento della Cassazione nell’annullare la misura cautelare dava un’indicazione sulla fragilità dell’impianto accusatorio».

La giustizia ha sempre due versanti: uno di percezione pubblica, che spesso è frutto anche della comparazione di altri esiti processuali; e uno di stretta e tecnica applicazione della procedura penale con complessi calcoli delle pene.

Il primo aspetto è quello che salta più agli occhi. Che proporzionalità c’è tra la condanna a più di 13 anni di Lucano e quella a 12 anni di Luca Traini, condannato per strage per aver ferito 6 persone nella sparatoria a sfondo razzista compiuta a Macerata nel 2018? Il punto è che si tratta di situazioni giuridicamente incomparabili. Traini ha scelto il rito abbreviato, nel quale il giudice decide “allo stato degli atti”, cioè senza un dibattimento. Questa formula garantisce una riduzione di pena di un terzo. Di solito si sceglie questo rito proprio nei casi in cui la responsabilità è impossibile da negare e la difesa punta a un processo molto veloce e con la condanna più live possibile.

Lucano, invece, ha scelto di svolgere il suo processo con rito ordinario, quindi con un dibattimento e con l’assunzione delle prove, cosa che non dà diritto automatico a nessuna riduzione della pena. In questo caso, la difesa evidentemente puntava all’assoluzione e riteneva che il modo migliore per ottenerla fosse di celebrare il processo con tutte le garanzie.

Qui si apre il secondo livello del dibattito, quello più strettamente giuridico. È possibile, a questo livello, ipotizzare perché i giudici di primo grado di Locri abbiano ricalcolato in modo così pesante la pena a Lucano. Per capire cosa è successo bisogna partire dalla richiesta di condanna della procura.

Il calcolo

Nel disegno dell’accusa, Lucano è colpevole di aver gestito l’accoglienza dei migranti a Riace in modo illecito con l’obiettivo di ottenere fondi statali ed europei. A suo carico vengono contestati i reati di truffa, concussione, abuso d’ufficio, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e illeciti nell’affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti urbani a due cooperative locali. Al termine del dibattimento, il pm aveva chiesto la condanna a 7 anni e 11 mesi di carcere. Nella sua costruzione, tutti i reati commessi da Lucano facevano parte di uno stesso disegno criminoso e questo fa scattare il meccanismo della cosiddetta “continuazione”. Quando una serie di reati vengono pensati tutti insieme, con un programma e un obiettivo unitario, la pena non viene calcolata per ogni singolo reato ma si individua il più grave, la cui pena può venire aumentata fino a triplo. Per Lucano il più grave della serie era la concussione: la pena è minima è 6 anni, a cui i pm hanno ritenuto di aggiungere un mese per ognuno dei 23 reati da lui commessi. Risultato: la richiesta di pena è diventata di 7 anni e 11 mesi.

Non uno ma due

Il tribunale di Locri ha recepito l’impianto accusatorio ma ha ragionato in modo diverso per calcolare la pena. In particolare, si può dire con certezza – leggendo il dispositivo della sentenza – che i singoli comportamenti illeciti sono stati raggruppati non in una categoria, come ha fatto l’accusa, ma in due gruppi distinti. Nel primo si può ipotizzare che siano rientrati i comportamenti di Lucano che servivano a favorire il profitto illecito delle associazioni e cooperative (tra cui associazione per delinquere, truffa, peculato), uniti dal vincolo della continuazione. Nel secondo gruppo rientrano le contestazioni di falso commesso da pubblico ufficiale (false certificazioni) e l’abuso d’ufficio, anche queste considerate in continuazione tra loro. Perché questa separazione?

L’ipotesi è che, secondo i giudici, Lucano si sia mosso sulla base di due diversi disegni criminosi. Il risultato è dunque la somma dei due. Quindi 10 anni e 4 mesi per la prima categoria di reati, dove il più grave dovrebbe essere il peculato (con una pena da 4 anni ai 10 e 6 mesi), con l’aumento fino al triplo per la continuazione. A questo si sommano altri 2 anni e 10 mesi per la seconda categoria di reati, dove il più grave è l’abuso d’ufficio (da 1 a 4 anni) sempre con l’aumento dovuto dalla continuazione.

L’analisi tecnica spiega come è stato possibile che la pena sia raddoppiata, tuttavia non giustifica la decisione. Per questo servirà la motivazione della sentenza. Lì ci sono le risposte sui motivi che hanno convinto i giudici a condividere le ipotesi dell’accusa, ma anche a ridisegnare i contorni del “progetto criminoso” di Lucano, individuandone non uno ma due. Soprattutto, si leggerà perché non sono state condivise le osservazioni della Cassazione che – nell’annullare le misure cautelari – aveva ritenuto fragile l’impianto accusatorio.

 

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