A Locri è stata scritta una pagina di storia della magistratura perché, anche se a volte i tribunali hanno condannato a pene superiori a quelle prospettate dall’accusa, è la prima volta, se non m’inganno, che un tribunale condanna ad una pena doppia rispetto alla richiesta del pm che già a suo tempo era apparsa abnorme e spropositata. Adesso la sproporzione è davvero abissale.

L’entità della pena mostra che i giudici si sono convinti – il perché lo capiremo dalle motivazioni – che a Riace Mimmo Lucano abbia messo in piedi una associazione a delinquere dando vita ad una serie di condotte delittuose. Ne emerge la demolizione del sistema di accoglienza di Riace che aveva in Lucano il fulcro. L’accoglienza non è il frutto della sua “pazzia”, ma fa parte della storia della Calabria, dell’antica capacità dei calabresi di accogliere gli stranieri, quelli che vengono da altri mondi, i sopravvissuti di un’odissea che li ha spinti a lasciare la propria terra e a scampare i pericoli d’una lunga traversata, prima via terra, poi via mare.

Riace ha poco meno di 2mila abitanti, eppure quel minuscolo universo è stato capace di parlare all’Italia e al mondo. Ci sono state irregolarità nella gestione del modello? È probabile, anzi è certo. Lucano stesso ha ammesso di aver agito a volte lungo una via non prevista dalla legge per un superiore imperativo morale che lo spingeva a stare con gli ultimi, con i migranti e a dare loro risposte concrete, a cominciare da un tetto e da un lavoro.

Rispettare la legge o seguire la propria coscienza? Non è la prima volta che la storia mette gli uomini davanti a questo bivio. In fondo è la vicenda di Antigone che seppellisce il corpo del fratello Polinice che Creonte, il re di Tebe, aveva stabilito che rimanesse insepolto alla mercé degli animali e degli uccelli che ne avrebbero fatto scempio. I giudici di Locri hanno scelto Creonte e soprattutto il suo cuore di pietra che non riconosce alcuna alternativa alla legge, dura e inflessibile. Per questo hanno inflitto quella pena, ritenendo che il comportamento di Lucano non fosse improntato ad un nobile fine, ma al suo esatto contrario e non hanno riconosciuto neanche le attenuanti generiche che avrebbe comportato una diminuzione di un terzo della pena.

Tra l’altro, la pena appare sproporzionata se teniamo a mente che un imputato per mafia, se non ha commesso un omicidio e chiede il rito abbreviato, ordinariamente viene condannato a 6/7 anni e che un trafficante di essere umani responsabile della morte di un numero imprecisato di migranti non arriva a 10 anni.

Infine una domanda, nel pieno rispetto del collegio giudicante e del suo presidente: era proprio necessario emettere la sentenza a tre giorni dal voto per il rinnovo del consiglio regionale che vede Lucano candidato capolista? Già la politica aveva fatto capolino nel processo quando il pm aveva chiesto di acquisire agli atti un articolo di giornale che annunciava la candidatura di Lucano, richiesta opportunamente respinta dal presidente. Non si poteva rinviare di una settimana la camera di consiglio? Non mi risulta che ci fosse il pericolo che qualche reato andasse in prescrizione. Il collegio non ha calcolato che la decisione influenzerà le elezioni, alimenterà tifoserie e polemiche; basta dare una rapida occhiata sui social per averne conferma.

Di tutto avevano bisogno gli elettori calabresi meno che di questo ennesimo stress che poteva essere risparmiato.

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