Una pioggia di emendamenti – 456 per l’esattezza – rischia di far saltare la riforma dell’ordinamento giudiziario. Non tanto e non solo per la quantità, ma soprattutto perchè molti – in particolare quelli presentati dal Lega e Forza Italia – puntano a modificare in modo sostanziale l’impianto complessivo della riforma, che pure era stato approvato all’unanimità in consiglio dei ministri l’11 febbraio.

Con il risultato che il ddl, che già ha avuto un iter lungo e accidentato, rischia di diventare tema di scontro frontale dentro la maggioranza di governo e quindi di arenarsi in commissione. Con buona pace dei ripetuti moniti del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che anche nel suo discorso di insediamento ha ricordato l’impellenza di approvare la riforma entro le elezioni del prossimo Csm, che si apriranno in luglio.

Ad aprire la strada a questo potenziale rischio è stata la scelta del governo di non mettere la questione di fiducia sulla riforma, ritenendo che fosse opportuno lasciare spazio di dibattito al parlamento vista la delicatezza della materia.

Tuttavia, la speranza era che il sì di tutti i partiti in cdm frenasse i propositi di riscrittura totale in particolare del centrodestra. Invece, dalla Lega e da Azione sono arrivati il maggior numero di emendamenti e lunedì il presidente Mario Perantoni avrà il compito difficile di fissare il calendario dei lavori.

La paura del Pd

«Altro che polemiche sul catasto, se andiamo allo scontro sul Csm il governo trema sul serio e il centrodestra dovrà assumersene la responsabilità politica», dice un parlamentare del Partito democratico. Il Pd, infatti, ha rispettato la linea ministeriale e ha proposto solo qualche piccolo aggiustamento ma ha lasciato intoccati gli elementi basilari.

«Mettere in campo proposte che stravolgono l’impianto della riforma» provoca «il rischio concreto del suo affossamento», è il commento della senatrice Anna Rossomando, responsabile giustizia del Pd.

A rispondere, si incarica il deputato di Azione Enrico Costa, che ha presentato un consistente pacchetto di emendamenti: «Ovvio che il Pd chieda di non stravolgere la riforma: stav nel governo Conte bis che approvò il ddl. Impensabile che le forze che erano all'opposizione di quell'esecutivo possano approvarlo senza radicali interventi».

Iv con il centrodestra

I punti più controversi della riforma riguardano le porte girevoli dalla magistratura alla politica; la legge elettorale del Csm e le valutazioni dei magistrati.

Sulle porte girevoli, lo scontro è tra Pd e Forza Italia. Gli azzurri vogliono che i magistrati nominati in ruoli politici non possano poi rientrare in magistratura e chiedono regole assolutamente rigide. Il Pd, invece, propone di allentare la stretta sul divieto in caso di magistrati nominati in ruoli tecnici, come quello di capo di gabinetto. Su questo punto, il Pd rischia di essere isolato perchè anche il Movimento 5 Stelle è per la massima rigidità e propone di tornare alle previsioni più stringenti dell’originario testo Bonafede.

I due punti davvero controversi su cui la maggioranza rischia di spaccarsi, però, sono la legge elettorale del Csm e la separazione delle carriere, che ora non è inclusa nella riforma. Su questi si è di fatto prodotta una saldatura – come spesso è stato in materia di giustizia – tra Lega e Forza Italia e Italia Viva.

I tre partiti, infatti, non demordono dall’intento di modificare il ddl – che prevede una legge elettorale di tipo maggioritario con correttivo proporzionale – con un sistema di sorteggio temperato per cui i candidati vengono sorteggiati, così da rompere i vincoli con i gruppi associativi. La Lega, addirittura, propone di sorteggiare anche gli elettori nei collegi e non solo i candidati. Inoltre, Lega, Iv e Fi puntano ad introdurre la separazione delle funzioni tra magistratura requirente e giudicante (già prevista come quesito referendario), impedendo che nel corso della carriera le toghe passino da un ruolo all’altro.

Accanto a questi grandi temi, il gran numero di emendamenti è molto vario. Costa di Azione punta a introdurre la responsabilità diretta dei magistrati e una sorta di pagella con punteggio da 4 a 10, con un “fascicolo delle performance”, tra cui le inchieste “flop” e le sentenze ribaltate nel grado successivo e gli arresti non convalidati. Giulia Bongiorno della Lega, invece, propone di imporre a chi esce dal Csm uno stop di 5 anni per ottenere di nuovo incarichi direttivi, semidirettivi, o andare in Cassazione.

Le conseguenze sul governo

Il rischio politico, però, è evidente. La riforma dell’ordinamento giudiziario, nelle mani di una maggioranza spuria, rischia di venire stravolta e dunque di delegittimare il lavoro di composizione che la ministra Cartabia ha portato avanti per mesi, sperando poi in un iter veloce in parlamento. In questa situazione, il governo Draghi è costretto all’impotenza: per non rimangiarsi la parola data imponendo la fiducia, dovrà aspettare l’esito della commissione e sperare che il testo non venga davvero stravolto. Il timore concreto, però, è che la riforma possa venire affossata oppure diventi l’inciampo definitivo per un esecutivo in difficoltà già da settimane.

 

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