Il gruppo associativo di Unicost ha appena chiuso il suo congresso nazionale a Salerno, tutto incentrato sulle riforme – in particolare quella costituzionale che punta a riformare l’ordinamento giudiziario – e la tutela dei cittadini. La presidente uscente, Rossella Marro mette così a fuoco la fase storica per le toghe e il suo gruppo.

Presidente, il tema del congresso sono le riforme. Partiamo da un punto fermo: la contrarietà alla separazione delle carriere. Si riuscirà a spiegare ai cittadini il perché?

Da irriducibile ottimista spero che la partita del referendum sia aperta. Dobbiamo credere che i cittadini sapranno cogliere i pericoli della riforma costituzionale per la tutela dei loro diritti e per l’attuazione del principio di uguaglianza.

Il vostro congresso nazionale che cosa ha fatto emergere?

Il congresso è stato un momento importante di confronto con l’accademia, la politica, il giornalismo e l’avvocatura. È emersa una diffusa e non scontata preoccupazione per le conseguenze che la riforma, nell’incidere fortemente sul rapporto tra i poteri dello Stato, possa produrre.

La magistratura associata sarà unita oppure c’è il rischio di posizioni differenti, anche dentro l’Anm?

Come abbiamo più volte ricordato durante i lavori congressuali, la magistratura italiana è riunita in un’unica associazione, anche se di essa fanno parte più gruppi. Attualmente la giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati è unitaria, ossia fanno parte di essa tutti i gruppi organizzati. La Gec sta portando avanti in merito alle riforme una politica unitaria ed è inutile dire che questo aspetto è fondamentale per l’efficacia dell’azione associativa. Mi auguro che l’unità venga preservata in questo frangente storico così delicato e che nessun gruppo faccia venire meno il convinto appoggio al contrasto alla riforma.

Nordio ha messo sul tavolo anche la riforma del codice di procedura penale, auspicabile?

L’ultima organica riforma del processo penale è di pochi anni fa, si tratta della riforma Cartabia. Dopo la riforma Cartabia ci sono stati numerosi altri interventi che hanno riguardato singoli istituti. Le riforme hanno bisogno di tempi tecnici per la stabilizzazione degli orientamenti giurisprudenziali. Non è un fatto positivo che si succedano continue riforme che riguardano il processo penale perché intervenire reiteratamente sui medesimi istituti, si pensi alla prescrizione, è foriero di confusione applicativa e dubbi interpretativi.

C’è margine di dialogo con il governo oppure la via è solo quella del referendum, ormai?

La magistratura è sempre disposta al dialogo con la politica ma l’impressione è che il governo non intenda dialogare non solo con la magistratura ma neanche con le altre forze politiche, considerata la scelta di strozzare il dibattito parlamentare.

E con l’avvocatura, che tuttavia è in gran parte favorevole alla separazione?

Abbiamo registrato con piacere una certa apertura, non solo da parte di esponenti autorevoli dell’avvocatura, mi riferisco alle interviste rilasciate dall’avvocato Franco Coppi, ma anche da parte di esponenti di organismi rappresentativi dell’avvocatura civilista. Per quanto riguarda gli avvocati penalisti l’impressione è che ci sia un distinguo almeno tra una parte della base degli avvocati e i rappresentanti delle camere penali. Devo dire che ci sorprende che gli avvocati non prendano le distanze da una riforma che, attribuendo ai pubblici ministeri un Consiglio superiore della magistratura autonomo, necessariamente ne rafforza in modo esorbitante i poteri, in considerazione della direzione della polizia giudiziaria e dei rapporti con la stampa, anche ai danni della componente giudicante.

Di quali riforme la giustizia avrebbe bisogno, ora?

La giustizia ha bisogno, per fare fronte ad una domanda che non ha eguali in Europa, di uomini e mezzi. Quelli finora messi in campo non sono evidentemente sufficienti, considerato che per un organismo europeo che non può ritenersi di parte, la Cepej, la commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa, i magistrati italiani sono tra i più produttivi d’Europa.

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