Il testo è «intoccabile» e il suo iter parlamentare non prevede rallentamenti: è con questa certezza granitica messa in chiaro dal guardasigilli Carlo Nordio che la riforma costituzionale della giustizia è arrivato al Senato, dopo il sì della Camera. L’obiettivo è l’approvazione entro la fine dell’anno in doppia lettura. Poi sarà referendum, la prossima primavera. Un referendum costituzionale e dunque senza quorum, che sarà la vera scommessa del governo Meloni e un fondamentale test sul gradimento del centrodestra.

Tutto è apparso chiaro, lineare e ineluttabile nell’aula di palazzo Madama, dove si sono succeduti i duri interventi delle opposizioni. Duri quanto inutili visto che, come ha fatto notare Andrea Giorgis del Pd, «la riforma è stata calendarizzata indipendentemente dallo stato di avanzamento dei lavori in Commissione».

«Non c’è memoria di un’altra riforma costituzionale che il parlamento non ha toccato», ha rincarato Peppe De Cristofaro di Avs. A riprova dell’immodificabilità del testo licenziato dal governo, nemmeno il centrodestra ha potuto presentare emendamenti.

Prima il “canguro” in Commissione, poi l’approdo in aula senza relatore hanno dato l’esatta misura di come l’esecutivo abbia imposto tappe forzate e inibito la propria maggioranza dal fare alcun che. Tranne che votare a favore, quando sarà necessario. Con buona pace della regola non scritta secondo cui le riforme costituzionali debbano essere discusse in parlamento. L’unico spiraglio di insufficiente consolazione lasciato aperto da Nordio ha infatti riguardato la legge attuativa.

Si è discusso le pregiudiziali di costituzionalità. Le opposizioni hanno sottolineato la contrarietà sul metodo, mentre si sono divise sul merito: contrari Pd, M5S, Avs, a favore invece Azione e Più Europa, con Italia Viva a favore della separazione ma contraria alla cancellazione del dibattito parlamentare. La discussione riprenderà martedì prossimo, il voto finale invece arriverà tra il 25 e il 26 giugno.

L’Anm

Furo dal parlamento, la magistratura associata si sta organizzando, in vista della campagna referendaria. Eppure, all’interno dei gruppi associativi, si stanno aprendo i primi impercettibili distinguo.

Lo sciopero del 27 febbraio ha visto una partecipazione dell’80 per cento, con l’adesione di tutte le correnti e la continuità tra Anm uscente guidata da Giuseppe Santalucia della progressista Area e quella con al vertice Cesare Parodi, della conservatrice Magistratura indipendente. Tuttavia, il fine settimana appena passato – teatro del congresso di Unicost e del convegno nazionale di Mi – ha fatto leggere in controluce i diversi posizionamenti dei gruppi.

Se i moderati di Unicost si sono mostrati compatti contro la riforma e così anche i progressisti di Area e Magistratura democratica, una sfumatura diversa si è potuta percepire in casa Mi.

Nessuno lo ha detto ad alta voce ma una fonte interna ha spiegato il suo scetticismo rispetto allo «schiacciarsi in una battaglia frontale contro la maggioranza» e i dubbi sulla «chiusura dell’Anm di Santalucia rispetto a qualsiasi dialogo con il governo. E ora non c’è più tempo per aprirlo».

Una posizione, questa, che era stata adombrata dal presidente Claudio Galoppi in una intervista al Giornale. Fuor di metafora – è la spiegazione di una fonte di Area – Mi sarebbe stata «pronta a sedersi al tavolo per accettare la separazione delle carriere a patto di eliminare o addolcire il sorteggio al Csm». In questa fase, in Mi convivono diverse anime e anche diverse sfumature di adesione alla gestione Parodi, più dialogante di Santalucia ma ugualmente contrario alla riforma nella sua interezza.

Cosa prevede

Certo è che la legge costituzionale, pur rubricata come «della giustizia», in realtà riorganizza solo l’ordine giudiziario. Questa è stata la critica condivisa da Pd, Avs e M5S: la separazione delle carriere, che porta con sè il rischio della sottoposizione del pm all’esecutivo, non risolve nessuno dei problemi della giustizia, non tocca i tempi dei processi né migliora la qualità del servizio giustizia. «Si consuma la vendetta del centrodestra nei confronti delle toghe», ha detto la 5S Mariolina Castellone.

La riforma prevede infatti la separazione netta tra giudici e pubblici ministeri (che ora possono passare solo una volta da una funzione all’altra); la conseguente creazione di due Csm, composti da consiglieri togati e laici scelti con sorteggio, ma sempre presieduti dal Capo dello Stato, e lo scorporo della funzione disciplinare, assegnata ad una unica Alta corte. Una apertura del ministro riguarda il sorteggio, che potrebbe essere «temperato» almeno per i laici (come previsto da un emendamento di Forza Italia, poi ritirato). Tutto, però, verrà fatto nella futura legge di attuazione. Prima però ci sarà il referendum e l’inevitabile scontro sia politico che tra poteri dello stato.

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