Si respira un’aria di attesa, alla Suprema corte di Cassazione.

La sua Prima presidente, Margherita Cassano ha rispolverato una norma pochissimo utilizzata dell’Ordinamento giudiziario (l’ultima volta è stato dieci anni fa): all’articolo 93 e seguenti, il Primo presidente ha il potere di convocare una Assemblea generale e così Cassano ha fatto, scegliendo il titolo: “Le prospettive di una moderna nomofilachia”, con inviti ad avvocatura ed accademia.

«L’iniziativa si propone di avviare una riflessione condivisa sul ruolo della Corte di cassazione quale garante dell’unità del diritto, costruttrice del diritto vivente e presidio della legalità sostanziale, in una stagione caratterizzata da rilevanti trasformazioni normative, culturali e tecnologiche che sollecitano nuove forme di responsabilità interpretativa», si legge nella nota della Cassazione.

In prima fila, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la cui presenza dimostra come l’evento sia stato coordinato con il Quirinale. 

L’intervento di Cassano

Proprio a Mattarella la presidente Cassano si è rivolta, nella sua relazione. Cassano ha detto che «Il tema di una moderna nomofilachia s’intreccia con quello della prevedibilità delle decisioni giudiziarie quale fattore di garanzia del principio di uguaglianza rispetto a casi analoghi e di effettività del diritto di difesa nell’accesso alla giustizia e nell’esercizio della facoltà di impugnazione».

Il suo intervento ha avuto al centro il Pnrr, la necessità di smaltimento dell’arretrato e i buoni risultati sin qui raggiunti dalla corte di legittimità, cosiderando «l'impressionante numero di ricorsi in Cassazione, pari a oltre 80.000 l'anno, che non ha eguali nel panorama europeo».

Nel merito delle riforme, Cassano ha ricordato la necessità che all’impegno di auto organizzazione della Corte debbano affiancarsi «misure di sistema rientranti nelle attribuzioni esclusive del legislatore», che ha elencato per punti, toccando indirettamente alcune delle riforme del governo.

Cassano ha indicato «Il ruolo della legge nella regolazione dei rapporti sociali in un contesto in cui la nostra convivenza pare allontanarsi dalle prospettive solidaristiche sancite dall’art. 2 Cost. in favore di interventi meramente autoritativi», i rischi di effettività della risposta giudiziaria davanti alla «continua proliferazione di nuovi reati che rischiano in concreto di vanificare le tutele» e, in assenza di parametri legislativi di priorità nella trattazione degli affari, «di rendere il magistrato, dotato di una legittimazione esclusivamente tecnico-professionale, arbitro del bilanciamento dei diversi valori costituzionali in gioco che dovrebbero trovare il loro naturale componimento nella sede parlamentare». Cassano ha citato anche la necessità di uno «Stato di diritto che ponga al centro la dignità della persona e il suo reinserimento sociale». Infine ha auspicato «la stabilità del quadro normativo, presupposto della stabilizzazione degli orientamenti giurisprudenziali; le preventive verifiche di fattibilità delle riforme; la disponibilità di risorse umane e finanziarie che, con grande preoccupazione, vediamo scemare di giorno in giorno».

In sintesi, dunque, Cassano ha riferito i timori per la proliferazione di norme penali; il rischio di trasformare il magistrato in parafulmine per le carenze del parlamento; il carcere che sta perdendo qualsiasi finalità di reinserimento sociale e la presentazione di riforme poco coordinate con la magistratura sotto il profilo della fattibilità.

Cassano ha ricordato che «ai magistrati sono richiesti senso di responsabilità e del limite, rispetto delle competenze riservate ad altri poteri o organi dello Stato in un rapporto di leale collaborazione, un impegno rinnovato e straordinario per il conseguimento degli obiettivi fissati nella consapevolezza che la prima forma di legittimazione del magistrato risiede nella scrupolosa osservanza dei doveri d’ufficio alimentata da un’alta idealità: la priorità dei diritti delle persone e l’effettività della loro tutela».

Infine, si è rivolta sempre a Mattarella in una dichiarazione che è risuonata in questa difficile fase di scontro tra governo e magistratura: «Cicerone ci ammonisce a non abbandonare il proprio posto di guardia nella vita: forte di questo insegnamento, mi sento di affermare che oggi i magistrati della Corte di cassazione rinnovano dinanzi a Lei l’impegno ad adempiere convintamente il loro dovere nella piena fedeltà alla trama dei valori costituzionali».

L’intervento di Gaeta

Dopo di lei ha preso la parola il Procuratore generale presso la Cassazione, Pietro Gaeta. Gaeta ha ricordato come la Corte di cassazionne sia «“Vertice ambiguo” è stato detto acutamente anni fa, poiché spende una porzione del proprio potere giurisdizionale indirizzandolo all’affermazione dei principi di diritto ed alla loro uniforme applicazione, così consolidando lo ius constitutionis e l’indefettibile certezza del diritto che da esso promana; ma provvede, con altra parte del medesimo potere di ius dicere, (anche) alla soluzione del caso concreto, partorendo il giudicato nella vicenda processuale storica».

Gaeta ha detto che «la sfida della contemporaneità è, per la giurisdizione di legittimità, mantenere questo difficile equilibrio tra funzioni di Alta Corte e di Giudice di terza istanza. I numeri, impressionanti, che conseguono all’accesso generalizzato alla legittimità – secondo principio, tuttavia, assolutamente irrinunciabile, specie nella materia penale – rappresentano una prova acutissima, a volte lancinante, di torsione del sistema».

Anche il procuratore generale ha sottolineato come la Corte abbia vinto la sfida di garantire la tutela effettiva dei diritti fondamentali e della garanzia di uniforme interpretazione, anche nella ragionevolezza dei tempi di decisione. 

É Gaeta ad approcciare la grande questione sottostante della separazione delle carriere. Nel suo intervento ha detto che «ho finora parlato tout court di ‘giurisdizione di legittimità’ perché ho notevole difficoltà teorica, sistematica ed anche effettuale a scindere, a separare il requirente di legittimità dalla complessiva considerazione della funzione giurisdizionale in cui opera».

E questo perchè il requirente è «figura autenticamente dialogica e cooperativa rispetto al decisore, perseguendo, con la difesa, il “risultato di giustizia”, che, in Cassazione, è essenzialmente l’inverarsi della nomofilachia. Decisore e requirente di legittimità sono, cioè, accumunati da un’unica prerogativa e un unico scopo: quelli, contemplati dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario, di “organo supremo della giustizia, [per] assicura[re] l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni"».

L’itervento si è concluso con un invito alla ricerca «di piena ed unitiva armonia tra le varie componenti della magistratura inquirente», perché «essa è il lievito che deve fermentare l’intera magistratura: al suo interno, nella leggibilità degli indirizzi delle sue decisioni e nei rapporti tra tutte le sue componenti che operano nelle giurisdizioni dei vari gradi e nella funzione d’accusa; ma anche nei suoi rapporti esterni: nel dialogo, essenziale e prezioso, con l’Avvocatura, ma anche in quello – doveroso e scevro da pregiudizi – con tutti gli altri poteri dello Stato».

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