La commissione Giustizia della Camera ha cominciato a discutere della riforma del carcere ostativo, procedendo ad ascoltare i pareri di magistrati antimafia e dell’Associazione nazionale magistrati.

Le proposte di legge – attualmente tre, una di Enza Bruno Bossio (Pd), una del Cinque stelle Vittorio Ferraresi e una di Andrea Del Mastro Delle Vedove di Fratelli d’Italia – riguardano l’accesso ai benefici penitenziari per i condannati per reati ostativi, di cui all'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario (che prevede l’automatismo per cui il beneficio carcerario si ottiene solo se si collabora con la giustizia).

L’iniziativa legislativa, però, non è di stimolo parlamentare: a intervenire sul tema è stata la Corte costituzionale, che con una ordinanza dell’aprile scorso ha stabilito che l’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, «facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo». 

Tuttavia, l’ordinanza ha sospeso la dichiarazione di incostituzionalità del 4bis, rinvinandone la trattazione a maggio 2022, con l’obiettivo di consentire al parlamento l’intervento correttivo. 

L’analisi delle proposte di legge non è stata semplice per gli auditi che sono intervenuti nel corso di questi due giorni, perchè i tre testi di proposta sono molto diversi l’uno dall’altro.

Ardita: «La norma sia stringente»

Il consigliere del Csm e magistrato antimafia Sebastiano Ardita ha fatto un intervento molto duro, dicendo che la nuova soluzione dell’ergastolo ostativo «deve essere il più stringente possibile» e che «tutti i capi di Cosa Nostra devono essere esclusi dalla possibilità di ottenere benefici».

Analizzando la pronuncia della Consulta, ha specificato che «obbedisce a una soluzione evolutiva, mette molti paletti e dà soluzioni molto rigorose che consentono di venire incontro ai pochissimi casi in cui il soggetto che non collabora in effetti si è staccato dal mondo di Cosa Nostra». Ma non si possono allargare le maglie più di così, secondo Ardita, e serve «la prova che non ci sia alcuna possibilità di riaggregazione alle organizzazioni mafiose». 

Scarpinato: «I boss ci guardano»

Il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, ha aggiunto che «ci sono segnali significativi dell'attesa spasmodica da parte di capi mafia detenuti per l'emanazione da parte del parlamento della nuova normativa».

E ancora ha aggiunto di aver fatto «un censimento mentale dei capi mafia che si troveranno ai nastri di partenza nell'attesa dell'entrata in vigore della nuova normativa, a maggio prossimo, che consentirà loro di uscire dal carcere senza avere collaborare, a braccio ne ho contati circa un centinaio». 

Questo, secondo Scarpinato, si traduce in una esigenza: «Evitare che importanti capi mafia che non sono per nulla ravveduti escano dal carcere».

L’associazione nazionale magistrati

Il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, ha censurato l’ipotesi (contenuta nella proposta di FdI), di restrizione dell’accesso ai benefici in caso di più condanne per reati diversi: «Una volta che il detenuto per un reato ostativo ha espiato interamente la pena prevista per quel reato, non si vede per quale ragione debba mantenere una refrattarietà all'accesso a benefici».

Ha tuttavia evidenziato come sia immaginabile mantenere la distinzione tra chi collabora e chi no nel caso di liberazione condizionale: «Costituzionalmente inaccettabile è che ci sia una preclusione assoluta dell'accesso ai benefici per i detenuti che non collaborano, ma nulla vieta al legislatore, una volta ammesso anche il non collaborante al beneficio, di diversificare tra coloro che collaborano», anche in ottica di incentivo alla collaborazione.

Il procuratore antimafia De Raho

Il procuratore antimafia Federico Cafiero De Raho ha detto che nelle proposte ci sono «aspetti condivisibili, ma servono ulteriori accorgimenti».

In particolare, De Raho ha richiamato l'importanza di dare «uniformità alle valutazioni per il riconoscimento dei benefici» (contenuto nella proposta del M5S) ma ha mostrato perplessità sulla «discrezionalità illimitata del giudice nell'individuazione dei confini entro i quali concedere l'accesso ai benefici stessi» (contenuto nella proposta di FdI).

Quanto agli elementi per valutare i detenuti, ha apprezzato l'intenzione di «dare una disciplina che consenta di valutare di volta in volta he il detenuto non sia ancora mafioso ma alcuni ulteriori accorgimenti andrebbero adottati».

Cosa prevede oggi il 4bis

L’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario si riferisce ai detenuti per reati di terrorismo, eversione, mafia, sequestro di persona a scopo di estorsione; riduzione in schiavitù; prostituzione e pornografia minorile; violenza sessuale di gruppo; contrabbando.

A questi detenuti può essere concessa l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione (esclusa la liberazione anticipata)  se collaborano con la giustizia. Proprio questo automatismo è stato considerato incostituzionale dalla Consulta.

Le tre proposte di legge

Le proposte di legge su cui i magistrati sono intervenuti in audizione sono molto diverse tra di loro.

Quella di Bruno Bossio prevede di aggiungere la possibilità di benefici come il lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative non solo ai detenuti che collaborano, ma anche «nei casi in cui risulti che la mancata collaborazione non escluda il sussistere dei presupposti, diversi dalla collaborazione medesima, che permettono la concessione dei benefici citati».

Inoltre, prevede che le comunicazioni del procuratore nazionale o distrettuale antimafia (chiamati a segnalare se i collegamenti con la criminalità organizzata siano ancora attuali per i detenuti) non siano pareri sulla concessione o meno del beneficio, ma debbano fornire «elementi conoscitivi concreti e specifici fondati su circostanze di fatto espressamente indicate che dimostrino in maniera certa l'attualità di collegamenti dei condannati o internati con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva».

Quella di Ferraresi, invece, è più corposa. Da un lato punta a rendere uniformi i giudizi sulla concessione dei benefici, dall’altro a impedire ai responsabili di reati molto gravi di ottenere permessi e altri benefìci senza meritarli e con gravi pericoli per la collettività.

La proposta è che i benefici siano concessi anche a detenuti che non collaborano ma di cui si possa «escludere con certezza l'attualità di collegamenti con la criminalità»; che abbiano adempiuto alle «obbligazioni civili e delle riparazioni pecuniarie derivanti dal reato o l'assoluta impossibilità di tale adempimento»; «il condannato deve, inoltre, giustificare e indicare le specifiche ragioni della mancata collaborazione»; che il giudice decida «acquisite dettagliate informazioni» sia dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica che dal direttore del carcere; che si chieda «il parere del pubblico ministero presso l'organo giudiziario che ha emesso la sentenza di primo grado».

Prevede che l'onere di dimostrare la totale estraneità al perdurare di rapporti con la criminalità spetti al condannato e l'accentramento presso il tribunale di sorveglianza di Roma delle istanze per l'accesso ai benefici penitenziari dei condannati all'ergastolo ostativo.

Inoltre, conferisce delega legislativa al governo per una riforma della materia.

Infine, quello di Del Mastro Delle Vedove è il più restrittivo e prevede sì di superare l’automatismo dell’ostatività come oggi prevista, ma anche che «l'onere della prova degli elementi richiesti per neutralizzare le presunzioni qualificate come ostative alla concessione dei benefìci dovrà gravare interamente sull'istante, con ciò determinando un regime probatorio rafforzato». Inoltre i benefici non potranno essere concessi «esclusivamente sulla base della regolare condotta carceraria, della positiva partecipazione al percorso rieducativo o della mera dichiarazione di dissociazione».

A decidere sulla concessione dei benefici sarà il giudice di sorveglianza, valutando se il detenuto abbia dimostrato la sussistenza di una serie di fatti che ne attestino la non pericolosità sociale. In particolare, il suo profilo all’interno dell’associazione criminale, il permanere di collegamenti, le ragioni della mancata collaborazione, eventuali nuove incriminazioni, le disponibilità economica del detenuto all’interno del carcere e la situazione patrimoniale dei suoi familiari; l’avvio di percorsi di giustizia riparativa.

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