Il 16 maggio rimarrà una data spartiacque nella storia della magistratura associata. Lo sciopero delle toghe - convocato al termine di una fase convulsa di dibattito interno – contro la riforma dell’ordinamento giudiziario della ministra Marta Cartabia è stato un mezzo flop: adesione del 48,5 per cento. Con picchi negativi nei grandi tribunali: a Roma l’astensione è stata di appena il 38 per cento, del 36,4 per cento nel tribunale di Milano (ma del 50 in tutto il distretto milanese). Il record negativo spetta ai magistrati di Cassazione, dove sciopera il 23 per cento delle toghe.

I picchi positivi invece si trovano in provincia, in particolare Busto Arsizio e Nola, dove le sezioni locali dell’Anm si erano mobilitate anche nelle settimane scorse con comunicati pubblici e dove l’adesione è stata di oltre il 90 per cento. Il confronto non permette sconti: l’ultimo sciopero risale al governo Berlusconi e la partecipazione era stata tra l’80 e l’85 per cento.

Le cause

Già alla vigilia, però, la sensazione è che l’adesione sarebbe stata bassa: le tante le voci pubbliche di dissenso all’iniziativa da parte di ex magistrati – da Edmondo Bruti Liberati ad Armando Spataro – e critiche anche da toghe in servizio, come l’ex presidente dell’Anm Pasquale Grasso e anche il consigliere del Csm, Nino Di Matteo, avevano fatto presagire un esito non positivo.

Tutti concordi nel dare un giudizio negativo alla riforma dell’ordinamento giudiziario, erano però scettici sullo strumento estremo dello sciopero, che impatta sui cittadini proprio in una fase di crisi di fiducia nei confronti del sistema giustizia. Del resto anche lo stesso presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, che ha partecipato all’assemblea del tribunale di Milano, ha detto che «lo sciopero è stato fatto di lunedì proprio quando i calendari di udienza non sono intensi e per recare il minor disagio possibile», quasi a scusarsi di una scelta politica così estrema.

Lo stesso Santalucia, infatti, ha descritto lo sciopero come un atto «generoso e responsabile» che non è «non contro la riforma, ma per chiedere di migliorarla» nelle parti più contestate, come l’eccessivo controllo dei magistrati imposto dal fascicolo di valutazione e dalla gerarchizzazione.

Nei giorni prossimi sarà il momento delle valutazioni politiche interne al sindacato delle toghe, in particolare se numeri così bassi mettano in discussione la rappresentatività dell’attuale giunta dell’Anm. Anche se Santalucia ha sottolineato che la decisione dello sciopero «non è stata della dirigenza, ma della stragrande maggioranza dei magistrati» che hanno partecipato all’assemblea del 30 aprile.

La politica

La bassa partecipazione ha fatto tirare un sospiro di sollievo alla politica e al ministero di via Arenula. Il sottosegretario alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto ha definito la mobilitazione «legittima» ma «ingiustificabile dal punto di vista del merito. Sono state raccolte istanze importanti avanzate dall'Anm. L'attività di mediazione è stata responsabile, intensa e proficua».

Il deputato di Azione, Enrico Costa (autore dell’emendamento sul fascicolo di valutazione), invece, lo ha bollato come una iniziativa dovuto al fatto che «i magistrati si compattano solo contro un nemico, in questo caso il legislatore». In ogni caso, la partita sul testo non è ancora chiusa: dopo il sì della Camera, la riforma è al Senato ma la Lega e anche Italia Viva sarebbero pronte a chiedere modifiche al testo. Se così fosse, si ripartirebbe dalla Camera e i magistrati tornerebbero in gioco con le loro critiche. Tuttavia, l’ipotesi è remota: il governo farà di tutto per chiudere il testo secondo gli accordi della Camera. Altrimenti, il rischio è di non approvarla affatto entro il termine della legislatura.

 

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