Ennesima grana per il ministero della Giustizia che però si sfila dalle responsabilità: «Saliti su un treno già in corsa, lanciato ad alta velocità, senza la possibilità di arrestarne la marcia» a causa delle scadenze Pnrr. E nel 2026 si rischia l’ennesima impasse dopo due anni di criticità: per il Consiglio superiore della magistratura i tempi non sono ancora maturi: «Applicativi in stato ancora embrionale»
Fine anno col botto per la saga infinita del processo penale telematico. Sono passati due anni da quando è stato lanciato l’applicativo “App” che avrebbe dovuto innescare la “rivoluzione digitale”: l’obbligatorietà dell’utilizzo del sistema fu introdotta con la riforma Cartabia nel 2022 per scattare ufficialmente (ma solo in teoria) nel 2024 – con tanto di rigide tappe per passare dalla fase sperimentale all’adozione a regime. Tappe peraltro collegate alle milestone del Pnrr. Ma da allora problemi e malfunzionamenti tecnici hanno costretto molti tribunali a rimandare la partita più di una volta per non impantanare la già complessa macchina della giustizia. E non sono bastati gli “aggiustamenti” al software e le numerose deroghe ministeriali a sbloccare l’impasse e a garantire il rispetto di una roadmap che aveva fissato al 31 dicembre di quest’anno la fine del doppio regime (analogico e digitale) per inaugurare finalmente la piena operatività del sistema.
Nel 2026 si sbloccherà davvero la situazione?
E il 2026 si prepara a partire con un deja-vu: a inizio 2025 ossia allo scoccare dell’entrata in vigore delle disposizioni introdotte dal decreto numero 206 di dicembre 2024 (che prevedeva il deposito esclusivamente in modalità telematica di atti e documenti) ben 87 tribunali sospendevano d’ufficio l’applicazione delle regole.
Ebbene alla vigilia del nuovo anno la situazione resta in alto mare: il 29 dicembre la procura generale di Napoli ha disposto la sospensione fino al 30 giugno 2026 dell’obbligatorietà dell’uso della App 2.0 (la versione riveduta e corretta che avrebbe dovuto risolvere tutte le problematiche tecniche) in tutto il distretto giudiziario del capoluogo campano. «Abbiamo ritenuto necessario assicurare stabilità, efficienza e legalità all'attività giudiziaria, evitando che criticità tecniche possano rallentare o compromettere procedimenti urgenti e delicati – ha detto il procuratore generale di Napoli Aldo Policastro –. La sospensione dell'obbligatorietà del deposito telematico nelle aree ancora affette da malfunzionamenti non rappresenta un passo indietro nella digitalizzazione, ma un intervento previsto dalla legge per garantire continuità e sicurezza operativa».
E appena qualche giorno fa, il 22 dicembre, è stato il tribunale di Roma a optare per la deroga al 30 giugno 2026. E le questioni da sanare sarebbero numerose e non riguarderebbero solo il corretto funzionamento di “App”: computer troppo vecchi e connettività non adeguata rallenterebbero l’uso del sistema; e a pesare sarebbero anche i continui correttivi al software.
Per il Csm ancora criticità da sanare
Non solo: il Consiglio superiore della Magistratura (Csm) nell’esprimersi sulla nuova bozza di regolamento ministeriale che punta all’esclusività del deposito digitale di atti, documenti e intercettazioni a partire dal 1° luglio 2026 con una tappa intermedia prevista il 1° aprile per gli atti nei procedimenti cautelari, invita alla prudenza.
Il Csm ha scritto nero su bianco che i tempi non solo non sono ancora maturi – persistono errori e malfunzionamenti – e che il rischio, visto come stanno le cose, è di ottenere l’effetto boomerang poiché l’informatizzazione al posto di accelerare e rendere più efficiente l’attività giurisdizionale penale di fatto rischia di rallentare la macchina della giustizia.
«Su proposta della Settima commissione – si legge nella nota del Cms – è stato approvato il parere relativo al decreto del ministro della Giustizia che modifica il regolamento sul funzionamento del processo penale telematico. In particolare, la delibera, dopo avere rilevato la perdurante sussistenza di talune criticità nell’applicativo App, esamina gli effetti del nuovo decreto ministeriale, che differisce al 1° aprile 2026 e al 1° luglio 2026 il deposito esclusivamente telematico, rispettivamente, degli atti relativi a taluni procedimenti speciali e all’impugnazione del sequestro probatorio e degli atti relativi alle intercettazioni. In proposito, la delibera auspica un intervallo temporale più ampio per il doppio regime, atteso che gli applicativi sono in stato ancora embrionale per alcune delle indicate attività, rispetto alle quali, peraltro, il Codice di rito impone rigidi termini. Inoltre, vengono evidenziate le criticità derivanti dalla compresenza di diversi regimi analogico/digitale per procedimenti che, invece, dovrebbero essere unitariamente considerati».
Lo scaricabarile del ministero della Giustizia
Il ministero della Giustizia tenta di correre ai ripari e in una nota tenta di smarcarsi dalle responsabilità: «Il ministero si è trovato a salire su un treno già in corsa, lanciato ad alta velocità, senza la possibilità di arrestarne la marcia, poiché il rispetto delle scadenze Pnrr costituisce un impegno assunto dallo Stato italiano in sede europea».
E riguardo ai persistenti problemi della piattaforma si limita a dichiarare che «non è mai stato sostenuto che la transizione digitale di un sistema complesso come il processo penale potesse avvenire senza criticità». Sì, ma quanto dureranno ancora queste criticità?
Riguardo al caso Napoli via Arenula imputa la colpa alla procura partenopea: «È stata l’ultima, in ordine temporale, ad attivare la componente Adi Switch per il conferimento delle intercettazioni, nonostante il sistema fosse già operativo e disponibile per gli altri uffici». Ma di fatto a detta proprio dello stesso ministero siamo ancora nella fase della sperimentazione, considerata «la scelta di prevedere un ulteriore periodo di accompagnamento per alcune tipologie di procedimenti, tra cui intercettazioni e riesame».
E secondo il ministero ciò «non rappresenta un arretramento del processo di digitalizzazione, ma una fase di sperimentazione monitorata, coerente con la delicatezza degli interessi coinvolti».
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