Ad ogni vittima o scontro particolarmente cruento, un nuovo decreto per inasprire o introdurre nuove norme: così si è formata la legislazione italiana contro la la violenza da tifo e negli stadi.

Ad oggi, però, il problema del tifo violento non è ancora stato risolto, nè negli stadi nè fuori, come dimostra l’ora di follia che ha bloccato l’autostrada A1 nel pomeriggio di domenica 8 gennaio. In questo caso, a scontrarsi sull’autostrada del Sole sono stati circa 250 romanisti e napoletani, entrambi diretti a nord per la trasferta delle loro squadre. I tifosi che si sono dati appuntamento per una resa dei conti nello stesso autogrill dove nel 2007 ha perso la vita l’ultras laziale Gabriele Sandri, colpito da un colpo di pistola sparato da un poliziotto della stradale durante un tafferuglio tra tifosi.

Sula carta le leggi ci sono e sono anche state aggiornate e nella maggior parte dei casi indurite nel corso degli ultimi anni. Il problema però è radicato in un sistema fatto di rapporti opachi tra società sportive e gruppi ultras, ma soprattutto la carenza di personale di polizia per la gestione dell’ordine pubblico e il contenimento di un fenomeno che deve essere sempre monitorato in ottica di prevenzione.

La legge del 1989

La legge che ancora oggi fissa i contorni penali della violenza negli stadi è la 401 del 1989, introducendo alcune fattispecie di reato tipiche, commesse in occasione di manifestazioni sportive. Le principali sono il lacio di materiale pericoloso (punito da 1 a 4 anni), lo scavalcamento e l’invasione di campo; il possesso di razzi, fuochi d’artificio o bengala, bastoni o materiale imbrattanti, punito con il carcere da 6 mesi a 3 anni; le lesioni, la violenza o minaccia nei confronti degli addetti ai controlli.

Inoltre, è con questa legge che viene introdotto nell’ordinamento italiano la misura del Daspo, ovvero il divieto di accedere allo stadio per coloro hanno messo in pericolo l'incolumità fisica delle persone o che hanno comunque compiuto atti di violenza. La norma poi è stata modificata e inasprita molte volte, in particolare dal decreto legge del 2014.

Il decreto Pisanu

La legislazione spartiacque in materia di contrasto alla violenza negli stadi è il decreto voluto nel 2005 dall’allora ministro dell’Interno, Beppe Pisanu. Il pacchetto ha inasprito le pene per chi invade o lancia oggetti in campo con un conseguente danno alle persone, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni. Inoltre viene introdotto il biglietto nominativo, la videosorveglianza nello stadio che consente l’applicazione dell’arresto in caso di violenze secondo la cosiddetta “flagranza differita”, ovvero dopo aver visionato le riprese. Poi l’obbligo di tornelli per l’ingresso sugli spalti, l’equiparazione degli steward a incaricati di pubblico servizio e presenti sugli spalti e sanzioni fino a 15 mila euro per il bagarinaggio.

Il decreto, però, è rimasto in buona parte sulla carta a causa della difficoltà di adeguare le infrastrutture alle nuove norme. All’epoca, infatti, i proprietari degli stadi erano sempre i comuni, senza disponibilità economica per mettere in regola le strutture salvo pochi casi (Torino, Palermo, Genova, Siena, Messina e Roma).

Raciti e la legge Amato

Il pacchetto del 2005 viene rivisto nel 2007, all’indomani della morte dell’ispettore di polizia Filippo Raciti durante gli scontri tra forze dell’ordine e ultras fuori dallo stadio di Catania, durante il derby con il Palermo.

Dopo la tragedia è stato approvato a larghissima maggioranza un decreto che ha irrigidito i controlli all’ingresso, prevedendo l’obbligo di documento di identità e la possibilità di comprare al massimo 4 biglietti a testa, con multe da 5 mila a 20 mila euro per il personale che non effettua i controlli e anche per le società sportive; ha vietato l’esposizione di striscioni che incitano alla violenza, con pena da uno a cinque anni, aumentato a 48 ore il tempo per l’arresto in flagranza differita. Inoltre, ha previsto che gli stadi non a norma dovessero far giocare le partite senza pubblico. Infine, ha inasprito tutte le sanzioni: condanna da 4 a 10 anni per chi provoca lesioni gravi a pubblici ufficiali in servizio di ordine pubblico, e per le lesioni gravissime una pena dagli 8 ai 10 anni.

La legge ha inoltre inasprito il Daspo, con la diffida ad assistere agli eventi sportivi da uno a cinque anni per i provvedimenti firmati dal questore, e da due a otto anni per quelli emessi dal giudice.

Esposito e il dl Stadi

Il pacchetto normativo più importante degli ultimi anni risale al 2014, approvato dal governo Renzi all’indomani della morte dopo due mesi di agonia di un giovane tifoso napoletano, Ciro Esposito, ucciso con un colpo di pistola da ultras della Roma durante i disordini che hanno preceduto la finale di coppa Italia tra Napoli e Fiorentina.

Il decreto legge, che ha modificato la legge cardine del 1989, ha avuto lo scopo di sanzionare in modo più stringente la violenza causata dal tifo, in particolare introducendo il Daspo di gruppo, con il divieto di accesso allo stadio per almeno 3 anni nei confronti dei responsabili di violenze di gruppo e da 5 a 8 anni nel caso di recidivi. Il decrero ha ampliato i destinatari: il Daspo comprende anche chi è stato denunciato o condannato per l'esposizione di striscioni offensivi o violenti o razzisti, per reati contro l'ordine pubblico e altri delitti gravi come la rapina e lo spaccio. Inoltre è stato previsto anche il divieto di trasferta della tifoseria per uno o due campionati nel caso di gravi episodi di violenza, con la chiusura del settore ospiti e il divieto di vendita dei biglietti.

Infine, con il decreto legge è stato inasprito il regime sanzionatorio in materia di frode in competizioni sportive, con pene da due a sei anni e la multa da 1000 a 4000 euro.

Le multe alle società sportive

Anche la giustizia sportiva ha approvato un pacchetto di norme che hanno lo scopo di fermare la violenza negli stadi, facendo leva sulle società sportive.

La Lega Calcio, infatti, irroga multe alle società sia per violazione delle regole di condotta da parte di calciatori e dirigenti che per responsabilità oggettiva, a causa dei comportamenti dei suoi tifosi dentro lo stadio. Ogni anno raccoglie più di mezzo milione di euro: il motivo principale delle sanzioni è il lancio di fumogeni, petardi e bengala in campo, seguito dai cori razzisti. Secondo un calcolo di Sportmediaset relativo al campionato 2017-2018, degli 807.500 euro totali incassati dalla Lega, il 65 per cento è derivato dalle sanzioni ai club per il comportamento dei tifosi.

Questo meccanismo rischia tuttavia di generare un pesante cortocircuito, con le società tenute sotto scacco dagli ultras, pronti a minacciare violenze la cui responsabilità sotto forma di multa ricade sul club.

Proprio questo rapporto problematico tra ultras e dirigenza è stato più volte oggetto di procedimenti federali della corte di giustizia sportiva e anche di inchieste penali. Il più recente è il caso dell’inchiesta “Alto Piemonte” nel 2017 che si è conclusa nel 2019 con 14 condanne. L’accusa metteva a fuoco il rapporto tra i dirigenti della Juventus e alcuni capi ultras bianconeri, che per mantenere l’ordine nello stadio ottenevano in cambio «biglietti e abbonamenti, anche a credito e senza previa presentazione dei documenti di identità dei presunti titolari». Ovvero: biglietti gratis usati per bagarinaggio da associazioni per delinquere legate alla ‘ndrangheta in cambio della pace nella curva dello Juventus Stadium. La giustizia sportiva ha condannato anche l’allora presidente della Juventus, Andrea Agnelli, a una multa di 100mila euro e all’inibizione per tre mesi e il club a 600 mila euro di ammenda.

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