Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza d'appello su Marcello Dell’Utri, del presidente del tribunale Raimondo Loforti, giudici Daniela Troja e Mario Conte


Per le modalità di pagamento nel periodo successivo alla morte di Bontate vengono in rilievo essenzialmente le dichiarazioni dei già citati collaboranti Calogero Ganci, Francesco Paolo Anzelmo e Antonino Galliano, tutti appartenenti alla famiglia mafiosa della Noce a capo della quale vi era Raffaele Ganci ed in ordine ai quali, come è stato già rilevato, la Suprema Corte ha ritenuto che non sussistessero dubbi in ordine alla loro attendibilità così come era stata ricostruita nella sentenza annullata. Si è trattato di collaboratori "tutti uomini d'onore i quali, in ragione di tale loro posizione soggettiva, avevano avuto modo di apprendere, ora dalla voce di Cinà (Di Carlo e Galliano) ora dalla voce del reggente Biondino (Ferrante) fatti attinenti alla vita del sodalizio, in parte sovrapponibili ed in parte strettamente concatenati" (pag. 107).

Preliminarmente deve rilevarsi che il nucleo essenziale delle dichiarazioni è stato ritenuto dalla Corte d'Appello - con motivazioni che la Suprema Corte ha condiviso - quello della consegna di denaro da parte dell'imprenditore milanese, tramite Dell 'Utri, a "cosa nostra" per l'ampia protezione che quest'ultima assicurava a Berlusconi. Tanto premesso, e prendendo le mosse dalle dichiarazioni di Calogero Ganci, uomo d'onore della famiglia della Noce rese all'udienza del 9 gennaio 1998 deve rilevarsi che quest'ultimo ha riferito circostanze apprese dal padre Raffaele. In particolare il collaboratore ha ricordato che il padre gli aveva parlato del fatto che Dell 'Utri nel 1984-1985 si era rivolto a Cinà "per aggiustare la situazione delle antenne televisive". Dell'Utri, cioè, voleva "mettersi a posto con cosa nostra al fine di ottenere, in cambio del versamento di una somma di denaro, protezione per le suddette antenne in Sicilia".

In quella stessa occasione Dell'Utri si era lamentato con il Cinà per essere stato "tartassato" dai fratelli Pullarà, come già detto, uomini d'onore della famiglia di Santa Maria di Gesù ai quali era stata affidata da Salvatore Riina la reggenza del mandamento dopo la morte di Bontate e Teresi.

È stato già messo m evidenza che i Pullarà avevano avanzato pretese nei confronti dell'imprenditore milanese, al quale garantivano protezione, anche prima della morte di Stefano Bontate, per vicende personali collegate a forniture di materiali per lo spettacolo. Siino aveva ricordato che Bontate - proprio per sottolineare che la protezione dei Pullarà stava costando un caro prezzo a Berlusconi - aveva detto che i Pullarà "ci (a Berlusconi: n.d.r.) stanno tirando u radicuni" (il significato della frase è stato già spiegato).

Prescindendo da detti rapporti di tipo personale che avevano con Berlusconi, ciò che è emerso è che, dopo la morte di Stefano Bontate, i Pullarà avevano ereditato i rapporti che Dell'Utri aveva intrattenuto fino a quel momento con Bontate, ucciso nella guerra di mafia nel 1981. Come è stato messo in rilievo nel precedente paragrafo, Ganci ha infatti dichiarato proprio detta circostanza e cioè che, dopo la morte di Bontate e di Teresi, Dell'Utri aveva continuato i rapporti, che lui prima aveva intrattenuto con i due boss mafiosi deceduti, con i fratelli Pullarà (Ganci: "Guardi io mi ricordo che quando fu contattato dal Dell'Utri venne a dire al Di Napoli che il Dell'Utri aveva avuto rapporti con il mandante della Guadagna, quindi io mi riferisco a Stefano Bontate, Mimmo Teresi, poi dopo la morte di queste persone, io questi rapporti li ha intrattenuti con i Pullarà. Pullarà Giovanni e Pullarà Ignazio, questo le posso dire'').

Già da questo frammento della dichiarazione è emerso, con tutta evidenza, che il mutamento dei vertici di "cosa nostra", non aveva modificato in alcun modo l'impegno finanziario del gruppo Berlusconi nei confronti dell'organizzazione criminale mafiosa e che dunque i pagamenti erano sempre proseguiti. Se così non fosse stato Dell'Utri, lamentandosi con Cinà del comportamento dei Pullarà, non avrebbe detto che si sentiva "tartassato" termine - come già si è detto - che presuppone un'azione continuata nel tempo che aveva creato in lui un vero e proprio malessere (P.M.: senta in relazione al malessere di cui lei ha parlato io volevo sapere per quale motivo vi era questo malessere da che cosa nasceva questo malessere, se lei lo sa chiaramente, tra il Pullarà ed il Dell 'Utri, e se può indicarci per quale motivo la sostituzione del Pullarà con il Cinà poteva essere vantaggiosa, poteva essere vantaggiosa da Riina e dallo stesso Dell'Utri"; Ganci: "E allora, il Dell'Utri con il Cinà si era confidato per dire che si sentiva tartassato da richieste forse di denaro oppure di .... cioè di pressione di forniture queste cose no, si era rivolto al Cinà perché erano amici si conoscevano ( ... )".

Dell'Utri dunque non aveva chiamato l'amico Cinà perché, stanco delle pressioni subite dai Pullarà, aveva deciso di non pagare più, ma lo aveva chiamato, da un lato per fare presente che i Pullarà stavano esagerando nelle richieste estorsive; dall'altro per chiedergli protezione per l'attività imprenditoriale collegata alle emittenti televisive. (Ganci: " .. . Dell 'Utri si riferì, contattò Cinà, appunto perché con i Pullarà non ci voleva avere a che fare più, perché si sentiva tartassato, qualcosa del genere "(. .) Avv. "E lei sa se in seguito alla estromissione dei Pullarà e l'intervento di Cinà il Dell'Utri si era lamentato mai per queste richieste di soldi che praticavate?" Ganci: "che io sappia, no").

Tale lamentela era stata comunicata da Cinà a Pippo Di Napoli che a sua volta ne aveva parlato con Raffaele Ganci e quest'ultimo con Totò Riina.

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