Cinque anni dopo la sua morte in un incidente in elicottero, il sogno del campione americano può dirsi avverato: voleva ispirare e lo sta facendo. Non solo nel basket, ma nell’hip hop, nella street art, una metafora di grandezza, una unità di misura per aspirare a diventare la migliore versione di noi stessi
Il sogno di Kobe. Diventare un grande storyteller per bambini, aiutarli ad aspirare al massimo. Dieci giorni prima di morire Bryant consegna ai posteri un involontario testamento. È la sua ultima intervista in video, a USA Sport Today. «Tra cinquant’anni vorrei che il mondo ricordasse Kobe Bryant come una persona che è stata in grado di scrivere storie che hanno ispirato i piccoli e le loro famiglie».
Il futuro di Kobe si è schiantato contro una collina di Calabasas a 518 metri d’altezza. In quel tragico 26 gennaio 2020 la visibilità era estremamente ridotta a causa della nebbia. Doveva essere un volo di routine, uno dei tanti che Kobe effettuava quotidianamente in elicottero per arginare il traffico congestionato di Los Angeles. Odiava sprecare il suo tempo. Dopo aver detto addio al basket, nel 2016, aveva bisogno di un periodo di disintossicazione: «Finalmente posso respirare». Uno dei più feroci e maniacali campioni di tutti i tempi si era trasformato in scrittore, editore, produttore di film e documentari di genere fantasy-sportivo. Era riuscito a conquistare il Premio Oscar (4 marzo 2018) nella categoria miglior cortometraggio d'animazione per Dear Basketball, la lettera con cui aveva deciso di annunciare il suo ritiro dopo 5 anelli NBA, 2 medaglie d’oro olimpiche, 18 presenze all’All Star Game.
Ma Bryant si era soprattutto trasformato nel più amorevole padre di famiglia. Insieme alla moglie Vanessa voleva occuparsi della sua tribù rosa, le tre figlie Natalia Diamante, Gianna Maria detta Gigi e Bianka Bella. Nel giugno 2019 la nascita della quarta, Capri Kobe. Gigi era quella che più gli assomigliava, competitiva e agonista nelle partitelle di basket, gli piaceva rivedere sé stesso nel mondo in cui lei si muoveva, in alcune sue espressioni. Per merito di Gigi aveva deciso di tornare a impegnarsi nel basket, si era cucito una nuova carriera che era soprattutto una missione, allenatore e mentore di ragazzini e soprattutto ragazzine.
«Papà, ma perché non si parla abbastanza delle donne nello sport? Non è giusto», gli ripeteva Gigi che a 13 anni sognava un futuro nella WNBA, il principale campionato femminile statunitense. Li vedevi, padre e figlia, seduti, abbracciati, a guardare le partite di tornei universitari o di NBA, spettatori complici. Nel 2018 Kobe aveva deciso di stabilire a Thousand Oaks la sua Mamba Academy, un centro di allenamento con strutture all’avanguardia dove potevi trovare giovani ma già affermate star NBA, WNBA o del basket universitario (Sabrina Ionescu) impegnate in sessioni personali di skills con lui. Ma soprattutto potevi respirare l’aria coinvolgente di un movimento giovanile di piccole cestiste. Nessuno come Kobe ha mai ha dato un impulso così deciso allo sviluppo e alla crescita del basket femminile.
C’è la sua legacy anche nel fenomenale percorso di Caitlin Clark che sta riscrivendo la storia della pallacanestro femminile, sbriciolando record su record, omaggiata della copertina di Time come Atleta dell’Anno 2024. Fin dall’Università la 22enne nativa dell’Iowa, con bisnonni siciliani, gioca con le scarpe della linea firmata da Kobe, compreso il modello Mambacita disegnato dalla vedova Vanessa per onorare la memoria di Gigi.
Proprio a Thousand Oaks erano diretti, per un torneo di basket, in quella maledetta domenica mattina di cinque anni fa. Insieme a Kobe e alla figlia c’erano le compagne di squadra Alyssa e Payton, insieme ai genitori Keri e John Altobelli e alla mamma Sarah Chester, con l’assistente allenatrice Cristina Mauser. Chissà se gli otto passeggeri hanno percepito il pericolo. Chissà se Kobe è riuscito ad ascoltare quella frase ripetuta due volte. «Stai volando troppo basso». I due avvertimenti che la torre di controllo manda al pilota del Sikorsky S-76B proibendogli di infilarsi tra le nuvole della perturbazione in corso. Un ordine ignorato, sancisce l’ente dei trasporti USA che così concluderà la perizia del tragico incidente nel febbraio 2021.
Cinque anni senza Kobe. Ma anche cinque anni sempre con Kobe. Perché l’impatto enorme che ha avuto nel mondo resta eterno. La sua eredità continua in tutti noi che ne pronunciamo il nome o ne citiamo la Mamba Mentality, espressione di determinazione, dedizione, impegno, resilienza. La sua aura continua a ispirare generazioni di atleti ma allo stesso tempo trascende il mondo dello sport. Kobe come emblema di successo ma anche punto di riferimento, come metafora di grandezza o come unità di misura per aspirare a diventare la migliore versione di noi stessi.
Resta un nome familiare anche nella musica che tanto amava, spaziando dall’hip-pop arrivando fino a Beethoven, e che continua a celebrarlo. Kobe resta lo sportivo più citato, compare nei testi di 1147 canzoni, alcune scritte dopo la sua morte. Messi è secondo con 553 citazioni e Michael Jordan è a quota 439.
Il ragazzo che «aveva acqua ghiacciata nelle vene», come canta Snoop Dogg, resta un punto di ispirazione artistico grazie a una serie impressionante e meravigliosa di ritratti, murales, campetti da basket che arricchiscono il pianeta. Kobe da solo, Kobe con Gianna, e la predominanza dei colori Lakers giallo e viola. Il prossimo 19 agosto 2025, nella settimana che coincide con il compleanno di Bryant (23 agosto) uscirà il libro “Mamba and Mambacita Forever” dedicato ai migliori murales sparsi nel mondo, prendendo come riferimento i playground pubblici e non privati.
Sul sito KobeMural.com c’è la mappa geografica per poterli visitare, 343 si trovano nella California meridionale, 301 nel resto del mondo, 25 qui da noi. La scorsa estate la moglie Vanessa ha portato in Italia in vacanza Natalia, Bianka e Capri, che aveva appena 7 mesi quando scomparve il padre. La famiglia Bryant ci tiene a rinsaldare il legame d’amore con il Paese in cui il Black Mamba aveva vissuto dai 6 ai 13 anni, al seguito di papà Joe che giocava nel campionato italiano, quando l’idolo del piccolo Kobe era Fantozzi, non il ragioniere ma Alessandro playmaker della Libertas Livorno. Dal 1984 al 1991 era cresciuto tra Rieti, Pistoia e Reggio Emilia che recentemente gli ha dedicato una piazza nei pressi del PalaBigi: Largo Kobe e Gianna Bryant, reggiani per sempre.
In Italia aveva appreso i fondamentali del basket, amando il calcio e il Milan, imparando quell’italiano che sfoggiava anche sui campi NBA, con annesso corollario di parolacce: il suo abitudinario trash talking per spronare i compagni di squadra o irridere gli avversari. Perché Bryant sapeva essere irritante, antipatico, bastardo. Tutto, pur di vincere. Anche mettendo a repentaglio l’amicizia più forte, quella con lo spagnolo Pau Gasol, compagno nei Lakers.
Durante la finale olimpica di Pechino 2008 tra Usa e Spagna si scaglia apposta contro di lui nella prima azione di gioco. Un fallo plateale, molto duro, un colpo al petto, Gasol cade a terra. Tutti, da LeBron James a Dwayne Wade sono allibiti: ma che diavolo fa, è il suo miglior amico. Era il messaggio di Kobe per marcare il territorio, per far capire che l’amicizia non esiste in campo: non mi interessa nient’altro che la medaglia d’oro.
Proprio Pau Gasol continua a prendersi cura della famiglia Bryant. È lo zio delle sue tre ragazze, le porta a Disneyland, presenzia al diploma di Natalia, trascorre interi pomeriggi in pigiama a casa loro, tra compiti, risate e cartoni animati.
Se LeBron ne ha raccolto l’eredità nei Lakers, non c’è stella che non lo ricordi. Nel 2023 Nole Djokovic vince il suo 24° Slam a Flushing Meadows, in finale contro Medvedev, e subito indossa una maglia speciale con la scritta “Mamba Forever”. Il mondo continua a dimostrare amore per Kobe, sfoggia tatuaggi o maglie con i due suoi numeri, importanti ma intercambiabili, in NBA ha trascorso 10 anni come numero 8 e altri 10 anni giocando con il numero 24. Nei momenti di difficoltà ci si appella ai suoi video motivazionali, ai suoi motti. La percezione di averlo davanti, invisibile ma tangibile: «Mantieni la rotta, completa il lavoro». Il suo sogno di ispirare si è comunque avverato.
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