Era la sera di Natale, nell’anno della grande epidemia. Il capo del governo osservava dalle finestre i pochi passanti che, a coppie di due, si affrettavano verso casa prima del coprifuoco.

«Sono stato bravo, è tutto sotto controllo», pensava tra sé e sé. «Quasi settantamila morti? Non è certo colpa mia se il popolo vuole divertirsi. Io ho fatto tutto quello che dovevo».  

Il capo del governo consumò una cena modesta, fece un brindisi solitario, e si infilò nel letto soddisfatto di sé. Ma ecco, allo scoccare dell’una di notte, una presenza nella stanza lo destò dal suo sonno sereno. «Chi è là?», gridò. «Sono lo spirito del Natale passato», rispose la presenza, «sono qui per la tua salvezza e quella del paese».  

Sparirono allora il letto, la casa, la città silenziosa per il coprifuoco. Il capo del governo si ritrovò in un luogo che riconobbe come il soggiorno della casa in cui era cresciuto.

Tra gli addobbi natalizi vide se stesso adolescente, seduto davanti al televisore acceso. Una donna stava elencando quattro principi: «globalità delle prestazioni, universalità dei destinatari, eguaglianza del trattamento, rispetto della dignità e della libertà della persona». Poi ci fu un voto e un lungo applauso. Il presidente della Camera annunciò l’approvazione della legge numero 833 del 1978 per l’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale.

«Spirito, ho capito la lezione!», esclamò allora il capo del governo. «Il diritto alla salute che questa riforma epocale doveva garantire, e che invece abbiamo violato! I principi di universalità e uguaglianza! Come abbiamo fatto a calpestarli in questo modo?».

La visione sparì, la casa e il letto tornarono al loro posto. Ma la notte non era ancora finita. Ecco arrivare un secondo spirito. «Chi sei?», chiese il capo del governo. «Sono lo spirito del Natale presente», fu la risposta. E il capo del governo disse: «portami dove vuoi, ho già ricevuto una lezione ma sono pronto a riceverne ancora».

I due percorsero come in volo la città, con le sue strade deserte e silenziose, fino a un’abitazione di periferia. Qui niente faceva pensare alla festa. Non c’erano addobbi, né dolci, né profumi. Una signora anziana e quello che pareva suo figlio stavano piangendo.

«Spirito, perché queste persone piangono nella notte di festa?», chiese il capo del governo. «Hanno perduto il loro marito e padre, che era ricoverato da giorni in ospedale per la brutta malattia che sta affliggendo il paese», spiegò lo spirito. «Si sentono disperati e abbandonati. Nessuno ha ricordato i loro lutti, le loro sofferenze». Il capo del governo allora capì: «Non devi dire altro, spirito, ho imparato anche questa lezione!».

Il prezzo del futuro

Tornato nel suo letto, pensò ai morti e ai ricoverati nelle terapie intensive, che aveva dimenticato nei suoi discorsi, e provò vergogna. Poi cominciò a ragionare su cosa avrebbe potuto fare per rimediare alle mancanze del sistema sanitario. Ma ecco sentì una terza voce: «Sono lo spirito del Natale futuro». Il capo del governo, desideroso ormai di essere condotto sulla via della salvezza, lo seguì di buon grado.

La città si presentò ai suoi occhi colorata e luccicante. Le persone in strada non indossavano mascherine, alcuni si tenevano per mano.

L’aria festiva appariva però guastata da un sentimento di mestizia. Il capo del governo si affacciò alle finestre di alcune case, dove le famiglie si riunivano per la cena. «Spirito, vedo il ritorno alla normalità, l’epidemia è finita. Ma c’è qualcosa di strano in queste case, cos’è?». Rispose lo spirito: «Mancano i nonni, non ci sono più. Le famiglie li hanno pianti e ora celebrano il primo Natale senza di loro». Il capo del governo allora, pieno d’orrore, pregò: «dimmi che c’è ancora tempo per cambiare tutto questo!».

Si ritrovò di nuovo nel suo letto e scoprì che era già mattina. Ora sapeva quel che doveva fare e non vedeva l’ora di mettersi al lavoro. Non uscì di casa per spargere doni e saluti come il vecchio Scrooge del racconto di Charles Dickens. Accese invece una videocamera e registrò un messaggio di Natale.

Parlò ai cittadini e alle cittadine del paese e chiese scusa. Per i morti, troppi, per non aver saputo difendere la loro salute. Promise che non avrebbe avuto pace fino a che un sistema sanitario universalistico e d’eccellenza non fosse divenuto realtà. E si propose, da quel momento in poi, di chiedersi sempre, come gli aveva insegnato la cancelliera di un paese vicino: «Cosa diremo in futuro, guardandoci indietro?».

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