Il tema del riconoscimento di maggiori forme di autonomia alle Regioni a statuto ordinario si è imposto nel dibattito a seguito delle iniziative intraprese da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nel 2017 per siglare accordi preliminari con il governo sulle materie di prioritario interesse per la loro autonomia decisionale: tutela dell'ambiente e dell'ecosistema; tutela della salute; istruzione; tutela del lavoro; rapporti internazionali e con l'Unione europea. Con l'inizio della XVIII legislatura, le tre regioni hanno stipulato pre-intese con il governo per «ampliare il novero delle materie da trasferire».

La questione del “regionalismo differenziato” (o “federalismo differenziato”) preoccupa sia per la salvaguardia dell’unità nazionale sia per il principio di solidarietà.  La pandemia ha dimostrato la gravità di questi problemi: il diritto della salute non è goduto ugualmente da tutti i cittadini italiani, indipendentemente da dove essi vivono, benché così dovrebbe essere secondo la Costituzione.

Coesione e solidarietà?

Nella Nota di aggiornamento al Def 2019 il governo si è impegnato ad attuare il “federalismo differenziato” nel rispetto del «principio di coesione nazionale e di solidarietà» in un quadro di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.  La consapevolezza che il “federalismo differenziato” possa «aggravare il divario tra il Nord e il Sud del paese» è scritta nero su bianco in questa Nota.

Differenziare gli interventi a seconda dei reali bisogni dei territori potrebbe risultare in una razionalizzazione amministrativa. Ma il processo avviato dalle tre Regioni del Nord è improntato prima di tutto alla ricerca del benessere territoriale.

Il governo Conte ha ripreso in mano la questione, deciso a portarla fino in fondo. Il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia ha detto che «il disegno di legge quadro sull'autonomia differenziata è sul tavolo del consiglio dei ministri e io auspico che possa essere trasferito presto al parlamento».

Il “disegno di legge Boccia” (la cosiddetta “legge-quadro”) è stato inserito, come collegato, alla legge di bilancio che deve essere approvata entro il 31 dicembre. Non significa che il ddl verrà approvato automaticamente, ma la nuova fase di collaborazione tra opposizione e maggioranza fa sospettare che il regionalismo differenziato sia un tema centrale di unione.

Difeso nel nome del principio della sussidiarietà, il regionalismo differenziato rischia di essere il riconoscimento della disunione funzionale tra due aree del paese. Se così fosse, ci troveremmo di fronte al coronamento del piano della Lega di Umberto Bossi, attuato per giunta da un governo di centro-sinistra con il determinante contributo della regione “rossa” emiliano-romagnola. Vi è il sospetto di essere di fronte alla leggittimazione della logica secessionista della parte più ricca del paese. In sintesi, di una forma elegante di dichiarazione di nazionalismo territoriale?

I due nazionalismi

Il nazionalismo si manifesta da alcuni anni (e non solo in Italia) in due forme diverse tra loro: gruppi nazionali economicamente “forti” concentrati in territori omogenei hanno approfittato della debolezza dello Stato (il “noi politico” o la “nazione larga”) per accrescere le loro prerogative di governo.

La rivendicazione di una autonomia goduta in ragione dei “meriti” (ricchezza prodotta sul territorio regionale) è come un’estensione a livello nazionale di quel che avviene a livello europeo e che tanto deprecano: gli stati del Nord Europa rifiutano una condivisione solidaristica con gli stati  non virtuosi per le stesse ragioni per le quali le regioni del Nord Italia mettono in discussione la solidarietà con le regioni del Sud.  

Si tratta in entrambi i casi di una rivendicazione di diverso trattamento da parte di chi sta meglio. Ignorando o omettendo il fatto che il benessere di quelle regioni è stato conquistato anche a causa della persistente indigenza delle popolazione del Sud, una condizione funzionale all’emigrazione e alla mano d’opera a basso costo.

L’identità per esclusione che il regionalismo differenziato suggerisce corrisponde a una secessione morbida. Il nazionalismo dei territori regionali ricchi vuole dissociarsi dalla “nazione larga”. Il processo di unità nazionale di ottocentesca memoria, si era ripromesso di costruire quell’artificiale “noi politico” (la nazione) attraverso la scuola pubblica, le politiche di previdenza sociale, il welfare.

Ricordiamo Massimo d’Azeglio: fatta l’Italia, si facciano gli italiani. Ebbene gli italiani, dopo periodi di grande espansione sociale del “noi politico” negli anni della ricostruzione nel secondo dopoguerra, si “fanno” ora secondo gruppi regionali differenziati e tra loro sempre più distanti.

E’ come se riconoscessimo di avere due nazioni e due nazionalismi: uno, sposato al neoliberismo; e uno, sposato all’aiuto pubblico. Due traiettorie che sono per diverse ragioni esposte ai rischi del populismo xenofobo: quello delle regioni del Nord per difendere il loro tenore di vita contro la condivisione con gli “altri italiani”; e quello delle regioni del Sud per mettere una diga al loro declino contro “altri umani” che arrivano da fuori.

Due forme di xenofobia che il regionalismo differenziato può esacerbare. Il nazionalismo dei vulnerabili è il prodotto più inquietante del liberismo senza moderazione, di quelle politiche cioè che avrebbero dovuto edificare e consolidare nel tempo il “noi politico”, la sovranità democratica nazionale.

Invece di far passare in sordina una decisione così radicale come il “federalismo differenziato” sarebbe utile e urgente (e vivaddio democratico!) avviare una discussione nel paese sulle implicazioni di questa politica. Se non altro per deliberare con competenza e ragionevolezza.

© Riproduzione riservata