Una retata in grande stile al parco Verde di Caivano dopo gli stupri delle due cugine di 11 e 13 anni. Violenze di gruppo consumate in questo territorio poco distante da Napoli che hanno indignato il paese. Il blitz nelle piazze di spaccio a giorni di distanza è però una messinscena utile soltanto alla propaganda del governo di estrema destra che guida l’Italia da quasi un anno.

Una sceneggiata nel quartiere che ha sostituto la famigerata Scampia, quella di Gomorra, diventando una delle piazze di spaccio più remunerative d’Europa. Non è necessario avere una laurea in criminologia per capire che dopo il clamore suscitato dalla denuncia degli abusi subiti dalle due ragazze nei fortini dello spaccio c’è stato il fuggi fuggi.

Infatti i 400 poliziotti impegnati in questa operazione ripresa da tutti i telegiornali hanno trovato poca roba e una manciata di denaro: 44mila euro e 800 grammi di cannabis. Niente, zero in confronto alla merce movimentata nei giorni di pace e silenzio, cioè tutti i giorni dell’anno. Si tratta di milioni e milioni di euro di fatturato per i clan, che hanno lavorato senza interruzioni finché il branco non ha agitato le acque e acceso i riflettori.

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Un blitz innocuo non fermerà le famiglie dei narcos. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi d’accordo con la presidente Giorgia Meloni aveva chiesto di dare un segnale al territorio. Ma ha scelto quello sbagliato. Quei territori non hanno bisogno di manette e repressione, tra quei palazzi desolati servono opportunità, chi vive lì sogna un futuro libero dai ricatti che resta una bella utopia, un sogno irrealizzabile.

La camorra, la cultura sulla quale prospera, non si affronta con le camionette e le forze speciali. L’arma da usare è un’altra, garantire gli strumenti per liberarsi dal bisogno e perciò dalla ricattabilità. Questo governo ha dimostrato invece esattamente il contrario: toglie ai poveri, mente promettendo lavoro per tutti mentre elimina il reddito di cittadinanza lasciando a mani vuote chi vive in contesti come quello di Caivano in balia di capi bastone che offrono scorciatoie per affrancarsi dalla miseria. Boss che vivono della disperazione altrui e che ringraziano il governo per avergli regalato nuova manovalanza.

La guerra ai padrini della droga, alla cultura dell’arroganza e della prepotenza di cui sono figli gli stupratori delle ragazze del parco Verde, si combatte dentro le scuole. Gesualdo Bufalino, fine intellettuale, diceva che la mafia potrà essere sconfitta solo da un esercito di maestri elementari.

Aggiungiamo: anche con una truppa di educatori ben pagati nei servizi sociali che vivono nei quartieri, che lottano corpo a corpo contro quella cultura che trasforma i cittadini in sudditi. Per farlo servono risorse, uomini e donne, laureati incentivati a rimanere o a tornare dove sono nati. La cultura mafiosa è una questione sociale, tuttavia per il governo è come se non esistesse. Le questioni sociali non risolvono con le tute mimetiche. Non è un’emergenza. È strutturale, cronica.

Caivano non ha bisogno di blitz buoni solo per la Rai governativa. A Caivano servono le istituzioni credibili e a disposizione sempre, in ogni momento, di giorno e di notte. Le retate da telegiornale servono solo a Meloni e Piantedosi. A una destra incapace di calare nella realtà l’antimafia come la intendeva Paolo Borsellino. Eppure il giudice doveva essere il loro faro nella lotta alle cosche. Una delle tante truffe di questo governo da passerella sulla pelle dei disperati.

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