Le elezioni di oggi per il parlamento della Scozia potrebbero rappresentare un altro choc per i britannici già scossi dalla Brexit e dalle sue conseguenze in Nord Irlanda. A Edimburgo le forze politiche filo-indipendentiste si stanno giocando molto della loro credibilità anche perché – avendo fallito nella difesa del Remain – sono ora alla ricerca di una rivalsa per non restare isolate nella Global England. Ovviamente niente è semplice anche perché lo stesso fronte indipendentista è diviso.

Fin dalla devolution voluta dal premier britannico Tony Blair (che era scozzese), il parlamento di Scozia ha rappresentato una controparte difficile da gestire per Westminster, così come il First Minister di Edimburgo lo è stato per il Prime Minister di Londra.

Se dalle urne emergesse una buona maggioranza (nei media si parla di super-maggioranza malgrado il sistema di voto scozzese sia proporzionale), l’obiettivo sarebbe quello di pretendere un secondo referendum per l’indipendenza da Boris Johnson. Per ora Londra tace mentre in privato si esclude ogni tipo di concessione.

Le divisioni interne alla coalizione scozzese riguardano i due ultimi first minister che si sono succeduti a Bute House: Alex Salmond e Nicola Strurgeon. Il primo, dopo essersi dimesso a seguito della sconfitta nel referendum sull’indipendenza del 2014, è stato travolto nel 2019 da uno scandalo sessuale che ne ha disonorato l’immagine pubblica, pur riuscendo a mantenere un certo seguito tra gli scozzesi. Ciò gli ha permesso di crearsi un partito regionale personale (Alba), distinto dal partito nazionale scozzese della sua successora, una volta la sua protetta.

Per ora i sondaggi non gli danno più del 3 per cento (mentre il SNP viaggia attorno al 50 per cento), ma la sicurezza dell’ex first minister nasce dalla convinzione, più volte espressa pubblicamente, di avere molta più esperienza della Sturgeon e di essere meglio preparato per negoziare con gli inglesi. Così da gradualista che era, ora Salmond è diventato uno dei fondamentalisti dell’indipendenza, mettendo in imbarazzo il suo ex partito di fronte all’elettorato. 

Per queste ragioni, anche se è stato riconosciuto innocente davanti al tribunale, è stato comunque  chiamato davanti al parlamento regionale per reagire alle accuse contenute nel rapporto finale della commissione parlamentare indipendente d’inchiesta. In quell’occasione invece di difendersi è andato all’attacco, accusando i suoi nemici di aver ordito una cospirazione contro di lui e mettendo in discussione la democraticità delle procedure. Ha respinto l’accusa di aver reso la Scozia uno “stato fallito”, rivolgendo addebiti diretti all’attuale first minister.

Tutto questo ha incrinato l’unità del SNP, con diversi dirigenti inclini a riconsiderare l’espulsione dello stesso Salmond. La rottura tra i due leader sta trascinando il partito degli scozzesi nel caos proprio alla vigilia di un voto così delicato.

Tuttavia dai sondaggi sembra che tale guerra intestina non diminuisca le possibilità di vittoria del campo indipendentista. Anche se da Londra guardano con interesse gli scozzesi dividersi, qualcuno inizia a chiedersi se tanta pubblicità offerta al dibattito fratricida non favorisca una corsa al voto che andrebbe poi a tutto vantaggio dei separatisti.

Allo stesso tempo le notizie che giungono da Belfast non sono delle migliori. L’accordo negoziato con Bruxelles lascia una forte ambiguità sui destini della regione che ormai dipende economicamente in tutto e per tutto dalla vicina Irlanda.

I protestanti sono sul piede di guerra e il centenario della regione potrebbe divenire l’inizio della fine, per una situazione che è sempre stata molto complessa. I successi del Sinn Fein a Dublino trascinano ambizioni (ormai pubbliche) del partito sulla stessa Belfast e questo spaventa gli unionisti.

Nella regione la Brexit quasi non si vede: sulle 300 strade che uniscono Irlanda e Nord Irlanda l’unico segno che è cambiato qualcosa sono i cartelli di velocità, qui in miglia e là in chilometri. Questo è il risultato della clausola back-stop del negoziato, che Johnson aveva dichiarato conclusa a favore della separazione.

Tuttavia, a chi spera che tale situazione preluda all’unificazione di tutta l’isola, risponde una realtà di altro segno: malgrado i decenni di integrazione europea, in città le “peace lines” sono aumentate. Si tratta delle barriere di mattoni o filo spinato che delimitano i quartieri protestanti da quelli cattolici. Non é un buon segno di fiducia nel futuro. 

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