In una serie di sei podcast Alvise Armellini e Iacopo Scaramuzzi si interrogano sul perché, almeno finora, la “bomba” degli abusi compiuti da uomini di chiesa in Italia non sia ancora scoppiata.

Eppure le condizioni ci sono. La Rete l’Abuso parla di circa 400 casi giudiziali di cui circa 160 sono arrivati al terzo grado di giudizio.

Una decina di associazioni e riviste hanno avviato un coordinamento per questo: ItalyCurch Too. Sono una mezza dozzina i libri usciti negli ultimi due anni: da La casta dei casti (Marco Marzano) a Il sesso degli angeli (Iacopo Scaramuzzi), a Agnus Dei. Gli abusi sessuali dei clero in Italia (Lucetta Scaraffia, Anna Foa, Franca Giansoldati) ecc.

Molte testate cartacee e mediali hanno trattato il tema. Fra i giornali ricordo La Stampa e Il Domani. Le (poche) vittime disposte a parlare trovano udienza. Insomma, le condizioni ci sarebbero, ma il botto non è ancora esploso. E, forse, non esploderà.

La bomba del Post

I podcast sono costruiti con professionalità e rigore. La prima impressione è positiva. I punti maggiori della storia di queste denunce a livello internazionali sono correttamente annotati, così il loro progressivo ampliamento geografico, dal contesto americano a quello anglofono, dall’Europa del Nord a quella del Sud, fino ai paesi latino-americani, africani e asiatici.

Ricordo alcuni momenti del racconto: la vicenda che ha interessato don Ruggero Conti e il suo vescovo (monsignor Gino Reali) a Roma nel 2010; il caso emblematico e sempre citato del Boston Globe (USA) del 2002 e la vicenda del cardinale Bernard Law, l’inchiesta nazionale in Germania e in Francia, le testimonianze efficaci e drammatiche, i rapporti governativi ecc.

Non mancano le note di riconoscimento all’azione ecclesiale sia per gli episcopati che si sono esposti sia per i pontefici, pur nei limiti e contraddizioni delle loro decisioni.

Fra gli elementi che non compaiono vi è, ad esempio, il ruolo dello stato in alcuni casi come in Irlanda, dove le istituzioni per le ragazze madri ove si sono registrati gravissimi abusi, erano in carico anche alla responsabilità e al controllo statale.

Così in Canada dove i collegi per gli aborigeni, i popoli originali, sono stati gestiti dalle Chiese, ma avviati e sostenuti dai governi (che si sono scusati).

Alcuni grandi eventi giudiziari relativi a figure apicali della Chiesa, fortemente enfatizzati dei media si sono risolti a favore degli imputati. È stato il caso del cardinale americano Joseph Bernardin (anni Novanta), del cardinale australiano George Pell (2020), del cardinal Philippe Barbarin (Francia, 2020). Cosa succede agli accusati quando le denunce non risultano vere?

E ancora: si percepisce solo di rimbalzo la progressiva crescita delle disposizioni canoniche e pastorali, sia nazionali come universali, contro gli abusi.

Pur con ritardi e inadempienze esse costruiscono non solo un argine, ma favoriscono cambiamenti e riforme di rilievo. Infine si ha l’impressione che gli autori guardino alla chiesa come un fenomeno monolitico, riproducibile a tutte le latitudini.

Nella Chiesa convivono culture e società che non danno lo stesso peso nostro a gesti gravi come gli abusi, travolte da emergenze di immediata sopravvivenza.

E questo senza nulla togliere al dovere della lotta alla violenza e ai minori (del resto prevista dalla morale), né all'affermazione evocata nei podcast del parallelo fra il dramma dello scisma occidentale e l'impatto degli abusi sul futuro della Chiesa.

Il caso Italia

Ma rimane la domanda: perché la “bomba” non esplode? Torna il riferimento al potere della Chiesa in Italia, al suo radicamento popolare, alla sua credibilità sociale.

Sono tratti veri, ma non sufficienti. Si considera non redditizia una battaglia politica in merito.

Anche questo è plausibile, ma la forza di ritorno della questione abortiva indica che quando è il momento lo scontro non è evitato. Si accenna al limite dei media italiani che rincorrono i singoli elementi, ma non disegnano il quadro complessivo.

Eppure clamorose denunce anti-ecclesiali non mancano negli ultimi lustri. Forse il fatto che alcune decisioni, non particolarmente coraggiose come quelle prese dalla Cei nell’ultima assemblea di maggio, siano avviate senza la massiccia spinta mediale smorza l’impatto della denuncia.

Più che una esplosione ci si può attendere una esondazione da stimolare e accompagnare con l’autonomia propria dei media.

Così si impongono le domande di trasparenza e coraggio autocritico: è plausibile affidare solo a istituti di ricerca “cattolici” il materiale dei tribunali ecclesiastici e delle congregazioni romane?

Perché abbandonare l’idea di una ricerca nazionale, anche sull’insieme del fenomeno abusi, per dare una misura credibile dei fatti, anche sul lungo periodo?

Perché non insistere su luoghi e forme di denuncia non riconducibili agli ambienti ecclesiali?

Manca soprattutto e in primo luogo l’ascolto collettivo delle vittime nelle istituzioni ecclesiali. Il mare di sofferenza che esse testimoniano è il luogo sorgivo delle domande e delle indicazioni per una riforma sistemica e non occasionale.

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