Tra le riforme connesse al Pnrr italiano c’è quella della revisione del sistema delle “porte girevoli” tra politica e magistratura, nel senso di rendere più difficile, se non vietato, il ritorno in magistratura per chi abbia ricoperto cariche e incarichi politici. Partiamo da alcuni punti fermi. Le norme sullo status dei magistrati devono assicurare, nella misura massima possibile, che il magistrato sia e appaia imparziale; l’imparzialità è garantita dalla posizione di indipendenza della funzione giurisdizionale, non a caso soggetta solo alla legge e totalmente sottratta all’indirizzo politico.

A questo fine servono norme oggettive, che limitino il passaggio dalla magistratura alla politica e ritorno, prescindendo da valutazioni di tipo soggettivo, che riguardino la personale capacità di un magistrato di agire imparzialmente. È il sistema in sé che deve funzionare. Se un magistrato ha esercitato per un periodo funzioni di tipo “politico” c’è da dubitare che esso, tornato in magistratura, possa essere o apparire imparziale. Potrebbe, ad esempio, giudicare atti o comportamenti tenuti dall’amministrazione dalla quale proviene in modo non distaccato. C’è, quindi, da stabilire quando un incarico pubblico svolto ha carattere politico.

L’attuale disciplina dei dirigenti amministrativi, ad esempio, ritiene politici, e quindi esclude il conferimento degli incarichi dirigenziali, incarichi di tipo elettivo (nelle assemblee) o su nomina (i componenti degli esecutivi nelle amministrazioni statali e territoriali) e negli enti pubblici; incarichi di componente degli organi di governo degli enti pubblici. In alcuni casi (i direttori generali delle Asl), anche la sola candidatura senza elezione è causa di inconferibilità.

Molto meno chiara è la disciplina sui magistrati, anche se è evidente che per essi il rigore deve essere maggiore e si deve procedere ad una corretta e articolata individuazione di tutte le funzioni “politiche” svolte e graduare le limitazioni sull’accesso alle cariche pubbliche e sul ritorno alle funzioni giurisdizionali. In alcuni casi può essere necessaria la totale esclusione, in altri può esser sufficiente un periodo (anch’esso da graduare) di cosiddetto “raffreddamento”.

Restano posizioni incerte, quali la provenienza da funzioni in autorità amministrative indipendenti o da uffici di diretta collaborazione (gabinetti, uffici legislativi, segreterie) con gli organi politici. Per le prime il rientro non pone problemi di conflitto, dal momento che le loro funzioni sono da considerarsi quasi giurisdizionali e perciò sottratte all’indirizzo politico e i loro componenti sono scelti per una elevata competenza tecnica e per riconosciuta indipendenza personale.

Per i secondi, invece, la collaborazione stretta con gli organi politici, il concorso attivo alla determinazione del contenuto di leggi e di atti di natura politica e l’influsso che viene esercitato sullo svolgimento dei compiti di gestione da parte degli uffici, devono far propendere per l’esclusione del ritorno in magistratura o almeno dovrebbe imporre un adeguato periodo di raffreddamento e una collocazione in uffici ben distanti, territorialmente (questo vale per gli incarichi locali, non per quelli nazionali) e per materia, dall’incarico di collaborazione svolto. Se ci occupiamo dei magistrati l’approccio nel definirne lo status non può che essere unitario.

Un trattamento differenziato dei magistrati amministrativi è del tutto fuori dalla nostra Costituzione. Anzi, l’occasione della disciplina delle porte girevoli potrebbe esser utilmente colta per rimuovere le ultime situazioni che rendono i giudici amministrativi meno indipendenti di quelli ordinari, Un importantissimo contributo alla piena attuazione del modello di giurisdizione di un paese di diritto, come voluto dalla Costituzione.

 

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