In assenza di politiche ambientali, secondo gli esperti da qui al 2100 avremmo un riscaldamento di 4-5 gradi rispetto ai valori pre-industriali. Con le attuali politiche sarebbe di 3 gradi, comunque molto superiore all’1,5-2 gradi giudicato in linea con uno sviluppo sostenibile. Il nostro è il secolo della sfida ambientale. E non è affatto una sfida semplice.

Sono temi al centro del dibattito politico: in Germania, o negli Stati Uniti di Joe Biden, o a livello internazionale, a partire dagli accordi di Parigi del 2015. In Italia però se ne parla poco. A volte perfino con imbarazzo. Molti non hanno compreso che adottare la prospettiva ambientale, in una visione che vede il pubblico supportare e orientare il mercato, è (anche) un’occasione di sviluppo e benessere per i cittadini. La migliore che abbiamo.

Con quali politiche, in concreto?

Prendiamo il superbonus per le ristrutturazioni edilizie. Questa misura, affidata com’è oggi alla negoziazione privata e alle banche, presenta molte inefficienze: è limitata, anche perché tende a escludere gli affittuari; è costosa, per le diverse intermediazioni (infatti è al 110 per cento) e per il rischio dei prezzi gonfiati; non garantisce il raggiungimento di chiari obiettivi di risparmio energetico, né l’adozione delle tecnologie più avanzate. 

L’intervento pubblico

C’è un modo, semplice, per risolvere tutti questi inconvenienti. Affidare la regia del superbonus all’intervento pubblico. Sul modello del piano Ina-Casa di Fanfani, negli anni Cinquanta, quando si trattava di dare agli italiani abitazioni moderne. Oggi si tratta di trasformarle, sulla frontiera più avanzata. La ristrutturazione potrebbe andare su tre fronti: energetico, sismico e per il superamento delle barriere architettoniche. Beni pubblici, i primi due, e un diritto umano fondamentale il terzo.

Un’agenzia statale poggerebbe su strutture e competenze che in buona parte ci sono già, sia a livello nazionale (Dipartimento Casa Italia) che territoriale (le Agenzie regionali per la casa, le Aziende territoriali per l’edilizia residenziale). Dovrebbe studiare in maniera sistematica le ristrutturazioni degli edifici e appaltarle alle imprese private. Le quali sarebbero pagate direttamente dal pubblico, senza più intermediazioni. I residenti (proprietari e affittuari) non dovrebbero fare nulla, salvo approvare o meno il progetto di ristrutturazione in assemblea.

Può diventare un grande piano di investimenti keynesiani, volti al benessere e alla crescita, peraltro con un moltiplicatore molto alto. Si potrebbe partire dai condomini in condizioni peggiori.

Il piano Ina-Casa di Fanfani, che snellì anche le procedure, fu un sostanziale successo (e allora era più complicato, perché le case bisognava costruirle). Accompagnò il miracolo economico e la rinascita del Paese, dopo la seconda guerra mondiale.

Parliamo spesso dei giovani. Ma le generazioni future ci chiederanno, innanzitutto, cosa abbiamo fatto per l’ambiente. Che non dicano che avevamo grandi opportunità ma non abbiamo saputo coglierle, perché rimasti legati ai dogmi del tardo Novecento.

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