Dalle pagine di questo giornale, Gianni Cuperlo chiede che venga trovata una sintesi all’interno del Pd sull’annosa questione dell’antisemitismo risorgente.

Ricordo sommessamente che quella sintesi già c’è stata, persino estesa a quello che oggi si chiama campo largo. Era il 2020, quando il governo Conte II, in cui militavano molte delle figure che oggi si riscoprono improvvisamente critiche, adottò la definizione operativa di antisemitismo formulata dall’International Holocaust Remembrance Alliance (Ihra), oggi assunta dal contestato Ddl Delrio.

Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti: l’avvento dell’orrendo governo Netanyahu che comprende al suo interno una componente esplicitamente suprematista, razzista e antiaraba, il tentativo di orbanizzazione della democrazia israeliana attraverso la contestatissima riforma della giustizia e, naturalmente, la guerra di Gaza scatenata dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.

Infine, un cambio ai vertici del Pd, dove si è insediata Elly Schlein, espressione dell’ala più movimentista del partito, da cui non a caso uscì durante la sua fase più «centrista».

All’attuale leader va dato atto di aver contenuto le antichissime pulsioni anti-israeliane interne alla sinistra italiana, cercando di mantenere un punto di equilibrio fra le diverse anime del partito. Fino alla manifestazione del 7 giugno, dove, nonostante il tentativo, seppur fievole, del discorso della leader Pd di tenere insieme condanna al governo Netanyahu e di Hamas, sono sfilate voci classiche dell’antisionismo italiano: da Luisa Morgantini a Rula Jebreal, che nel suo discorso ha più volte parlato in modo arbitrario di genocidio.

Il tenore di quella piazza fu ben dimostrato dall’imbarazzato intervento di Gad Lerner, fischiato per aver avuto l’ardire di definirsi sionista. Da allora, è stata un piano inclinato, dove sono stati legittimati atti e parole che si sperava derubricate nelle pagine nere della storia di sinistra.

Candidati nelle liste Pd che si presentavano all’elettorato come «antifascisti» e «antisionisti», come se le due parole fossero sinonimi. Gli sterminati (gli ebrei) e gli sterminatori (i fascisti delle leggi razziali) equiparati. Post, meme e chi più ne ha più ne metta che rispolverano i più retrivi stereotipi anti-israeliani. Discorsi di figure apicali del partito che hanno avallato la nazificazione di Israele di staliniana memoria.

Gli esempi sarebbero innumerevoli, ma particolarmente osceni sono stati i paragoni fra Gaza e la Shoà durante le commemorazioni del 27 gennaio, o nei discorsi a ricordo delle stragi nazifasciste.

Difficile non ricordare gli accostamenti azzardati del discorso della sindaca Silvia Salis a Sant’Anna di Stazzema l’agosto scorso.

Un’impressionante sequela di atti antisemiti travestiti da antisionismo, su cui non si è registrata una sola presa di posizione da parte dei vertici Pd, come non si volesse contrastare l’umore popolare, nutrito da un plurisecolare immaginario antigiudaico, per cinici calcoli elettorali.

Dove sono le denunce di un clima che, secondo i dati dell’Osservatorio nazionale sull’antisemitismo, ha portato ad un incremento del 400% degli atti antisemiti? Dove le manifestazioni contro il risorgente odio antiebraico che abbiamo visto in Francia e in altri stati europei? Dove i tentativi per far decrescere quella rabbia sociale ben presto tramutatasi in un delirio psicotico di massa?

Vanno bene le petizioni di principio, ma poi contano i fatti, come ci ha insegnato Machiavelli. Se questo è il contesto, a ben poco serve ricordare, con la versione politica dell’«ho tanti amici ebrei», le voci ebraiche che hanno firmato l'appello contro il Ddl Delrio. Non solo perché, vista la loro connotazione politica (sia chiaro del tutto legittima), si rischia persino di ottenere l’effetto inverso. Ma perché così si finisce col delegittimare il sentimento ampiamente prevalente e trasversale dell’ebraismo italiano. Il vecchio vizio europeo di distinguere fra ebrei buoni (quelli funzionali alle proprie tesi) e cattivi.

Una domanda, però, la voglio rivolgere a firmatarie/i di quel documento: in che modo una legge ad hoc sull’antisemitismo finirebbe per alimentarlo, corroborando l’idea di un esclusivismo ebraico? E la legge Mancino? Allora, la nuova legge sul femminicidio, che riconosce un’aggravante per la violenza di una donna in quanto donna, è dannosa per le donne stesse? Non capisco.

Una parola finale sul trattamento riservato a Graziano Delrio, tra i pochi politici italiani ad aver sempre mantenuto una coerenza sui propri valori di fondo. Sentirlo definire fascista e liberticida da una parte dell’intellettualità di sinistra come se il fenomeno non esistesse è davvero il segno dell’impazzimento semantico oggi imperante.

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