Che cosa vuole fare l’Italia in Africa? Certamente gli ultimi incontri e visite in Libia sono stati positivi, ribadendo il nostro interesse nazionale in una situazione ancora molto critica. Ma non basta: siamo esposti anche altrove e si attende un chiaro orientamento del governo.

Innanzitutto nel Sahel – in Mali e in Niger - dove abbiamo molti più soldati che in Libia o altrove (fatta salvo forse la base di Gibuti). Recentemente abbiamo deciso di inviare in Mali qualche centinaia di truppe speciali nel quadro dell’operazione Takouba, su richiesta francese.

Da queste pagine avevamo preventivamente messo in guardia il governo su tale scelta: necessità di una riflessione strategica sulla reale condizione dell’area; terreno politico-militare molto intricato; soprattutto forte possibilità di arrivare tardi cioè quando già i francesi stanno pensando al ritiro.

Infatti nei giorni scorsi il presidente francese Emmanuel Macron ha deciso la sospensione delle azioni militari congiunte con l’esercito maliano. La causa della drastica decisione è legata al recente ri-golpe militare (il secondo da agosto scorso) che ha mutato le condizioni politiche interne del paese. Macron ha anche detto che ritirerà l’intera operazione Barkhane (5000 uomini) se gli islamisti entreranno al governo.

Per chi segue la politica francese era chiaro da tempo che Macron stava cercando un modo per uscire dal pantano maliano. Ora l’ha trovato e l’Italia è direttamente coinvolta da tali decisioni.

Ancora si attende su tutto ciò un commento da parte del nostro governo. Sostenevamo che la condizione minima per partecipare fosse la condivisione delle scelte di Parigi. La situazione in Mali è altamente complessa e necessita di valutazioni molto attente. Sempre dalle nostre pagine ci era parso importante anche chiedere a Mario Draghi un suo autorevole intervento come premier italiano e presidente del G20, sul governo etiopico a causa dell’aggravarsi della crisi nel paese.

Le notizie sono disastrose: il coinvolgimento eritreo è ormai apertamente ammesso; i ribelli oromo combattono a 50 chilometri da Addis Abeba; nel Tigray si svolge un massacro di imponenti dimensioni; le frizioni alla frontiera con il Sudan sono molto accese.

Giungono ora i dettagli della sistematica devastazione in Tigray di chiese e monasteri, violenze sulle donne e sulle suore, massacri di civili, fedeli e preti, asportazione di libri sacri: si sta cercando di uccidere il cuore identitario cristiano-ortodosso della nazione.

Su tutto questo aspettiamo con ansia l’auspicata iniziativa del nostro governo. Se non si vuole tener conto della responsabilità storica che l’Italia ha nel Corno, si consideri almeno il flusso migratorio che da tale crisi si potrà creare.

Aggiungiamo ora l’urgenza che il nostro governo risponda positivamente alla richiesta portoghese di supporto nella tragica situazione del nord Mozambico: anche lì abbiamo una presenza storica e il nome dell’Italia è quello della pace. Di tutto ciò non si discute abbastanza in parlamento mentre l’Africa attende urgenti iniziative da parte del nostro governo. 

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