FdI celebra i fasti e le liturgie del suo potere. Il giovane vecchio leader di un tempo le rende ostentato omaggio, ricambiato da una indulgenza che oggi non costa nulla. Mentre la democrazia e la postura dell’Italia in Europa fanno segnare un arretramento certificato da un governo ideologicamente vicino al trumpismo e lontano dai tradizionali partner europei
Ha fatto rumore la riapparizione di Fini e il suo “abbraccio” con vecchi sodali di partito che si sono dati appuntamento alla kermesse di Atreju. Evento concepito e ritualizzato sin nei dettagli. Può darsi che l’episodio abbia suscitato qualche sincera emozione, ma non si può nascondere un sentimento di mestizia. Come se tutto possa essere archiviato sotto la voce nostalgia, anziché suggerire l’esigenza di una riflessione politica.
Lui, incappato nell’incidente, diciamo così, della casa di Montecarlo, linciato dai media della famiglia Berlusconi, sconfessato politicamente dai suoi, tradisce una certa ansia di ricucire tessendo l’elogio di quella “comunità politica” che, in buona parte, fu la sua.
Fdi che, per parte sua, dopo averlo rinnegato con una sorta di “damnatio memoriae”, oggi, dall’alto del potere di cui dispone, può permettersi di accoglierlo magnanimamente come un figliol prodigo mezzo pentito. Per gli errori personali e politici che oggi gli sono generosamente prescritti.
Resta in noi, osservatori esterni, quel velo di mestizia e l’impressione di una rimozione genuinamente politica. Intanto il rapporto con la stagione berlusconiana.
Dopo la traumatica rottura di Fini con Berlusconi, Meloni e i suoi ex colonnelli lo mollarono e parteciparono, chi attivamente chi passivamente, al suo rinnegamento e persino al linciaggio scientifico che ne seguì. All’epoca, chi si azzardava a rompere con il Cavaliere era bersaglio delle sue corrazzate mediatiche e non poteva sopravvivere politicamente. Ogni mezzo era lecito.
Montecarlo a parte, in quella rottura con il Cavaliere sta semmai uno dei meriti e una prova di coraggio di Fini, puntualmente pagata. Fratelli d’Italia affonda le radici in quell’abiura e, da molti segnali, a cominciare dal rapporto polemico con la magistratura, tuttora si situa sul versante della continuità con Berlusconi. Una torsione non esattamente in linea con la cultura legalitaria della destra.
Non è un mistero che appunto quello sulla giustizia fu uno dei motivi della rottura tra Fini e il Cavaliere. Al fondo, il senso dello Stato e delle istituzioni. In un celebre fuori onda, Fini mise a verbale che quella fu una delle principali ragioni del contrasto.
Ma vi sono altri e non meno rilevanti elementi di conflitto che oggi si vorrebbero esorcizzare: il rapporto con il retaggio del fascismo sul quale An si era spinta assai più avanti della reticenza di FdI, la suggestione di un conservatorismo di stampo liberale e repubblicano alla Chirac, l’apertura misurata ma innegabile a taluni diritti civili in tema genere, bioetica e cittadinanza, un europeismo non più trattenuto dalle radici nazionaliste che Fini testimoniò da ministro degli esteri e da delegato del governo italiano (al fianco del vicepresidente Giuliano Amato) nella Convenzione che stilò il Trattato costituzionale Ue.
Oggi la destra dispone di ben altro potere e gode del sostegno di gran parte dell’establishment sempre sensibile alle sirene di chi governa, ma non è peregrina la tesi secondo la quale essa, destra, abbia perso venti anni sul piano della evoluzione della sua cultura politica.
Nel mentre FdI celebra i fasti e le liturgie del suo potere e il giovane vecchio leader di un tempo le rende ostentato omaggio, ricambiato da una indulgenza che oggi non costa nulla, la democrazia italiana e la postura dell’Italia in Europa fanno segnare un arretramento certificato da un governo ideologicamente vicino al trumpismo e lontano dai tradizionali partner europei. Vince il potere, perde la qualità della cultura politica.
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