Non deve sorprendere la mossa americana di rafforzare la propria alleanza nel Pacifico con Gran Bretagna ed Australia. La chiamano Aukus ma si tratta di una trovata mediatica: in realtà è l’evoluzione indo-pacifica dei “cinque occhi” di Echelon, di cui si parla ogni tanto senza mai troppo approfondire. Il sistema di sorveglianza globale esiste ed è in mutazione.

Gli Stati Uniti, messi sotto pressione in Asia da una Cina più aggressiva che in passato, scelgono di rafforzare l’unica alleanza che percepiscono come totalmente affidabile e della quale sono incontestabilmente i leader: quella anglosassone.

Meglio certamente della Nato in cui vi sono componenti ambigui come i turchi, altri lamentosi e personalisti come i francesi, altri riluttanti come i tedeschi, irrilevanti come gli italiani e così via. Notoriamente i cinque occhi sono Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Canada e Nuova Zelanda, gli ultimi due in funzione di supporto ma pur sempre territori in cui sono da tempo basate alcune vitali stazioni di controllo ed ascolto di Echelon.

La vera nuova protagonista di tale svolta strategica è l’Australia: il paese occidentale più vicino geograficamente alla Cina, da cui provare a controllare le spinte di Pechino. Prima si trattava di sorvegliare da lontano e a largo raggio; ora ci si spinge oltre, si militarizza e si prende di mira un paese in particolare. 

La cattiva notizia è che tra Stati Uniti e Cina non si tratta più soltanto di guerra commerciale o di sfida delle influenze ma di “giochi di guerra” veri, di cui si era avuto qualche sentore con le dimostrazione di forza navali davanti all’isola di Taiwan.

In questo modo il “pivot to Asia” di Barack Obama si sta trasformando in ostilità, e ciò mette oggettivamente a repentaglio la pace globale. L’Unione Europea deve avere un’idea chiara di quello che sta accadendo: non sarebbe saggio rimandare l’analisi della situazione a più tardi, quando le cose potrebbero peggiorare.

La domanda che la politica estera degli Stati membri della Ue deve porsi è questa: è nostro interesse che la tensione in Asia salga di un gradino così critico? Corrisponde ai valori e alla visione della convivenza globale che condividiamo?

Prima ancora di pensare ad una difesa comune, occorre rispondere a tali impellenti interrogativi e pensare se esista una strategia della de-escalation che eviti il surriscaldamento in Asia.

Prima di pensare ad armarsi, è necessario riflettere a come difendere la pace. Non serve lamentare la perdita di un contratto militare né semplicemente prendere atto della decisione degli americani: siamo alleati e quindi ci si deve confrontare.

La pace globale è a rischio in diverse parti del mondo: terrorismo jihadista, guerre civili, conflitti che non finiscono, diseguaglianze e ribellioni. Tante sono le cause di questo violento caos.

La contesa tra Cina e Stati Uniti rappresenta un salto di qualità che non può lasciare indifferenti gli europei.

Il G20 straordinario sull’Afghanistan voluto dal presidente del consiglio Mario Draghi, è già un primo passo verso un multilateralismo di cooperazione. Occorre costruirvi attorno una strategia politica efficace che rafforzi le ragioni della pace mondiale.

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