Richiamando gli ambasciatori presso Stati Uniti e Australia, la Francia si comporta «come un bambino arrabbiato che pensa di poter ottenere attenzione facendo scenate irragionevoli».

Ci voleva l’organo di stampa del ministero della Difesa cinese, cioè tecnicamente la parte lesa dall’accordo militare fra Stati Uniti, Australia e Gran Bretagna, per mettere in prospettiva lo psicodramma francese che sta andando in scena in questi giorni.

Parigi è stata tenuta all’oscuro e poi rimpiazzata con tempismo micidiale dal blitz anglosferico guidato da Joe Biden, circostanza che ha suscitato reazioni iperboliche da parte del governo che nel 2019 ha dichiarato la «morte cerebrale» della Nato e un anno più tardi, all’apparire del nuovo piano strategico dell’alleanza atlantica, ha concesso che forse qualche segno di vita si percepisce ancora.

Per il presidente francese, Emmanuel Macron, la differenza fra la vita e la morte delle alleanze strategiche aveva un nome: Donald Trump. Il suo nazionalpopulismo in stile “America first” aveva buttato nel cestino della storia le ambiziose istituzioni internazionali e ripristinato un cinico mondo di relazioni bilaterali fondate sul bilanciamento degli interessi domestici.

La repentina nascita di Aukus ha ricordato a Macron, e a tutti gli altri, che un avvicendamento alla Casa Bianca non basta a cambiare l’ordine mondiale. Quello che Aukus testimonia è che l’attuale ordine è un composito mosaico di alleanze e partnership commerciali, militari e di intelligence che non si escludono fra loro, dal Quad (Stati Uniti, India, Giappone e Australia) al Consiglio artico fino al Five Eyes rivitalizzato in funzione anticinese.

Lo spirito geopolitico del tempo

Questo ordine strategico premia l’agilità e la capacità di sedere contemporaneamente in tavoli diversi. Biden ha afferrato al volo lo spirito geopolitico del tempo e dirige il coro anglofono sul quadrante Indo-Pacifico, mostrandosi almeno in questo un perfetto erede di Trump.

Il primo ministro britannico, Boris Johnson, è convinto che il Regno Unito liberato dalla zavorra dell’Unione europea abbia l’opportunità storica di infilarsi nella selva di nuovi e vecchi acronimi che regolano lo scenario geopolitico.

Ed è in fondo la stessa convinzione di Marcon, soltanto che il francese in questa partita ha perso rovinosamente. Il Macron perdente è quello nazionalista e bilaterale che difende storici interessi particolari, non certo quello che sventola la bandiera di un’Europa che, disgraziatamente, si è trovata ad annunciare la sua strategia Indo-Pacifica poche ore dopo che gli Stati Uniti avevano comunicato al mondo che in quell’area agiranno con altri partner.

Lentezza europea

Il mondo delle alleanze agili che si intersecano e si sovrappongono non è affatto ospitale per l’Unione europea, alleanza politicamente solida ma strutturalmente appesantita dagli interessi divergenti dei suoi membri.

Mentre Bruxelles faticosamente partorisce una linea comune su qualcosa, gli altri coniano nuove sigle strategiche per rispondere a sfide in rapida evoluzione. Se capita un incidente, gli Stati Uniti offrono una carezza – nel caso specifico la riapertura dei viaggi con l’Unione europea dopo una lunga e ostinata chiusura – e pace è per forza fatta.

 

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