L’infelice modello concessorio italiano per le autostrade ha oscurato da un ventennio una serie di fatti incontrovertibili che avrebbero dovuto invece essere alla base delle politiche per il settore stradale complessivo. Politiche di pianificazione e di finanziamento, che ovviamente non sono scindibili, mentre gli aspetti finanziari hanno indebitamente prevalso.

 Le autostrade a pedaggio sono oggi funzionalmente identiche a molti segmenti della viabilità ordinaria (superstrade, autostrade non a pedaggio). Anche la giustificazione giuridica del pedaggio stesso, già fragile (“consentono maggiori velocità”) viene meno: si pensi solo ai frequenti fenomeni di congestione, o ai rallentamenti per lavori.

La parte dominante del traffico è interna ai confini regionali, anche sulle autostrade stesse (le percentuali sono dell’ordine del 75%; il traffico di lunga percorrenza per cui sono nate ha perso di ruolo relativo).

I maggiori problemi della mobilità stradale (congestione, manutenzione, effetti antropici dell’inquinamento) sono a scala regionale, e ne segue che anche le informazioni relative sono reperibili soprattutto a questa scala, non certo a scala nazionale.

La motorizzazione italiana ormai satura e la demografia in calo fanno ritenere che la necessità di nuove infrastrutture autostradali sia nel complesso ridotta. Non così quella di manutenzione dell’esistente, e gli interventi sulle reti locali.

 La rete autostradale è già ampiamente stata ammortizzata dalle tariffe pagate dagli utenti, soprattutto tenendo conto della molto generosa remunerazione accordata ai concessionari.

Non esistono economie tecniche di scala per le manutenzioni ai di sopra dei 300 km (si veda lo studio del regolatore pubblico Art).

L’evoluzione tecnologica consente oggi l’eliminazione dei caselli, che tra l’altro generano spesso rilevanti perdite di tempo nei periodi di punta (si vedano le soluzioni “free flow” o satellitari).

Ne discende che il sistema della viabilità va pianificato e gestito in solido, e a livello regionale. I flussi di traffico vanno ottimizzati a quella scala, quindi anche i costi, monetari e non, da far percepire agli utenti (tariffe, velocità, vincoli, ecc).

Quindi le attività più rilevanti per la mobilità stradale sono proprio quelle “fisiologicamente” gestibili a livello locale.

I fenomeni di congestione sono correlati con quelli ambientali: le emissioni con effetti sulla salute variano in funzione della velocità dei veicoli e dell’esposizione dei residenti.

Le tariffe di congestione sono già presenti in molte realtà urbane, anche nazionali (Milano), e l’evoluzione tecnologica le rende  applicabili anche su reti estese (come in Germania).

La copertura dei costi di manutenzione può provenire da una quota (ridotta) delle accise sui carburanti e dai proventi delle tariffe di congestione.

Ma ora, se il sistema delle concessioni “in solido” di costruzione e gestione della rete autostradale ha dato cattivi risultati, la gestione pubblica diretta, nazionale e locale non ha dato certo risultati molto migliori in termini né di manutenzione, né di gestione dei concessionari. E non vi sono ostacoli tecnici all’affidamento competitivo, per porzioni della rete viaria complessiva e per durate limitate, della manutenzione.

In assenza di comprovate economie di scala, una politica di “spezzatino ”garantisce maggiore efficienza e trasparenza, e pianificazione molto meno condizionata da interessi privati troppo influenti.

L’affidamento in gara della manutenzione di segmenti (tendenzialmente subregionali) delle reti stradali, inclusive dei tratti autostradali, potrebbe essere riferito anche ai sistemi informatizzati di gestione e tariffazione della congestione, e/o dell’allocazione ottimale del traffico in caso di emergenze.

Cambio di strategia

L’uscita dalla logica delle concessioni non significherebbe affatto una “ripubblicizzazione” del sistema, ma solo la restituzione alla sfera pubblica delle attività di pianificazione e di regolazione.

Il problema della transizione è rilevante, tuttavia nessuna strategia è pensabile se non si ha chiaro l’obiettivo (pubblico) che si vuole conseguire, come sottolineato da Andrea Camanzi.

Ma ora il concessionario di gran lunga dominante (Autostrade per l’Italia, AspI) è divenuto,  a troppo caro prezzo, un soggetto a maggioranza pubblica.

Occorrerebbe che il nuovo padrone politico orientasse l’obiettivo principale di AspI all’interesse collettivo, e non a risultati finanziari, tenendo conto anche che la rete è già stata ammortizzata dagli utenti, e che in realtà dunque stiamo parlando di una tassa iniqua.  

© Riproduzione riservata