Caro direttore,

ho apprezzato l’articolo «Per attirare i cervelli in fuga non bastano gli incentivi fiscali» firmato da Massimo Taddei perché, pur non condividendone completamente i contenuti, riporta il confronto a un livello di verità.

Da giorni, infatti, il dibattito pubblico e sulla stampa tratta con un alto tasso di strumentalità il tema dell’attrattività delle competenze. Tutto ruota intorno alla decisione del governo di limitare – non cancellare – il vantaggio fiscale per i lavoratori che decidono di tornare in Italia dopo un periodo all’estero. Su mia insistenza è stato comunque stabilito di mantenere invariato il bonus per il rientro di professori e ricercatori che continueranno a pagare le tasse solo sul 10% dello stipendio, lasciando il restante 90% esente. Una scelta strategica in cui credo e che ho inteso difendere. Continuare ad affermare che il governo sia nemico dei cervelli in fuga e assuma misure ostili al loro rientro è una presa di posizione legittima, ma basata su dati di fatto inesatti. La norma sugli impatriati, come sarebbe più corretto definirla, si era negli anni via via allargata, ampliando i benefici fiscali all’intera platea dei lavoratori trasferitisi in Italia, come giustamente ricostruito dal suo giornale.

In un quadro economico complesso, il governo ha deciso comunque di far salvo il vantaggioso regime fiscale per professori e ricercatori. È vero, ci sono molti cervelli fuori dal circuito pubblico. Su di loro – per i quali rimane comunque uno sconto fiscale del 50% - ritengo giusto lasciare maggiore spazio di concorrenza al sistema delle imprese. Anche perché il privato ha a disposizione leve - in termini economici e di posizioni contrattuali - per attrarre personale qualificato dall’estero che il pubblico non ha.

Quello che si è inteso salvaguardare, inoltre, è anche il principio di equità. È davvero giusto un fisco che premia un lavoratore, a prescindere da formazione o competenza, con uno sconto vicino al 100% solo per aver trascorso un periodo all’estero?

Ma la contestazione principale che il suo giornale avanza è quella di fare poco o nulla per rendere la nostra economia appetibile. Per quanto riguarda la mia sfera d’azione, in quest’anno di governo molto è stato fatto. Per esempio, una rinnovata attenzione per le infrastrutture di ricerca, importanti spazi di attrazione per talenti internazionali, la cui qualità è finalmente entrata a pieno titolo nel ciclo della valutazione della qualità della ricerca (VQR) di università ed enti. Un passaggio non da poco, se si pensa che le risorse pubbliche saranno distribuite anche sulla base degli esiti di questa valutazione.

Sempre con le nuove Linee guida per la VQR abbiamo voluto rafforzare il rapporto tra università e imprese e valorizzare il trasferimento tecnologico, passaggio necessario per trasformare la ricerca in innovazione e farne percepire tutti i benefici ai cittadini. L’attrazione si basa anche sul welfare delle persone che vivono il sistema italiano: ora è possibile per le università statali destinare alla stipula di polizze sanitarie integrative per personale docente e ricercatori parte delle risorse da progetti di ricerca competitivi, europei o internazionali. Inoltre, ricordo la presenza di bonus sugli stipendi di professori e ricercatori, anche a tempo determinato, vincitori di bandi competitivi italiani o internazionali. Il governo punta molto anche a un nuovo rapporto tra università e imprese.

La nuova policy del Fondo italiano per la ricerca applicata (Fisa) ha previsto un ruolo centrale delle imprese altamente tecnologiche coinvolgendole direttamente in aree tematiche ad elevato potenziale tecnologico.

L’interesse del nostro Paese è costruire un sistema più attrattivo, dove la libertà di tornare ma anche di scoprire l’Italia come destinazione di vita e realizzazione professionale sia una realtà per i migliori talenti. È quello che l’Italia è riuscita a fare negli ultimi anni, attraverso progetti lungimiranti in tema di robotica e biotecnologie, ed è l’orizzonte che le infrastrutture di ricerca, anche grazie ai finanziamenti del PNRR, possono rendere sempre più possibile. Forse non dovremmo parlare più di “fuga dei cervelli” né di “impatriati”, definizioni fuorvianti. L’obiettivo fondamentale del governo è riuscire ad attrarre sempre più talenti, sia che decidano di tornare nel nostro Paese sia, e non è meno importante, di arrivarci per la prima volta. Senza dimenticare chi sceglie di restare. Solo così avremo un'Italia più aperta e più forte.

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