Chi si oppone al blocco del licenziamenti, come Confindustria e il suo presidente Carlo Bonomi, lo fa di solito in nome del sacro principio dell’efficienza: congelare il mercato del lavoro in questa fase di ripresa costringe le imprese con scarse prospettive di fatturato a tenere in organico lavoratori che non potranno più permettersi, i quali si illudono di avere ancora un posto mentre sono soltanto in attesa di diventare disoccupati.

Il blocco impedisce ai lavoratori di fluire dalle aziende decotte a quelle in ascesa, alle imprese più efficienti di prendere le quote di mercato di quelle che invece dovrebbero sparire ma che il governo tiene in vita con la cassa integrazione Covid, per evitare troppi disoccupati.

Confindustria trascura l’unico argomento di equità contro il blocco dei licenziamenti, cioè che protegge chi è già dentro il mercato del lavoro e ha qualche forma di tutela mentre scarica il peso della crisi su chi è fuori (giovani, precari, partite Iva).

E lo trascura perché non ha impatto sul conto economico degli associati.

Se Bonomi e il suo giornale, il Sole 24 Ore, fossero sinceramente interessati all’efficienza del mercato dovrebbero però scagliarsi con molto maggior vigore contro la prevista riforma del codice degli appalti, che introduce distorsioni ben peggiori del blocco dei licenziamenti. Se confermato nell’attuale versione, il decreto Semplificazioni permetterebbe il subappalto della quasi totalità dell’opera, senza particolari vincoli a chi sono i subappaltatori. Un incentivo alle imprese per accordarsi tra loro ai danni del committente, cioè lo stato, cioè tutti noi. Funziona così: l’impresa A vince l’appalto X, quella B l’appalto Y e quella C l’appalto Z. Poi A subappalta un po’ del suo contratto a B e a C che ricambiano condividendo un po’ della torta degli appalti Y e Z che hanno conquistato. Lo scopo ultimo è evitare che ci sia una vera competizione tra imprese e che i ricavi siano massimi e i costi minimi. Il ritorno del massimo ribasso come criterio di aggiudicazione completa il quadro: le imprese si offrono per cifre irrisorie, vincono, poi fanno spuntare qualche variante o imprevisto che gonfia il compenso finale.

Queste modifiche al codice degli Appalti non faranno soltanto salire il costo delle opere per la pubblica amministrazione, rischiano anche di creare competizioni al ribasso su costo del lavoro e sicurezza, come denunciano i sindacati. Ma hanno anche un’altra conseguenza: creano le premesse per premiare le imprese più scorrette, quelle disposte ai comportamenti più spregiudicati, ad accordi occulti con i concorrenti, a usi estremi del subappalto e dei contenziosi giudiziari con il committente. Le imprese oneste ed efficienti rischiano di essere messe fuori mercato da quelle inefficienti ma disoneste o criminali, o più ammanicate con la politica.

Ecco, caro Bonomi, caro Sole 24 Ore, cari liberisti a gettone, non pensate che questa revisione del codice degli Appalti sia una minaccia al mercato ben più seria del blocco dei licenziamenti? O forse voi rappresentate le imprese pronte a colludere a gonfiare i costi ma non quelle oneste ed efficienti?

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