Il calo delle nascite certificato dall’Istat suscita molte preoccupazioni e sollecita politiche volte a sostenere la natalità nel nostro paese. Le politiche, se servono a migliorare la vita delle donne e consentire loro di combinare più agevolmente lavoro e famiglia (le cui incombenze ancora pesano essenzialmente su di loro), sono molto benvenute. Invece le preoccupazioni possono essere messe da parte.

Non c’è nessuna logica a immaginare che la popolazione di un paese debba sempre crescere, né che essa debba rimanere almeno stabile, specie nei paesi ricchi. Il calo demografico accomuna pressoché tutti i paesi ricchi ed è contenuto essenzialmente da processi migratori da parte di paesi più poveri dove la demografia è ancora in crescita.

Le previsioni relative alla popolazione mondiale indicano che dai 7 miliardi circa di persone si arrivi a superare i 10 miliardi circa tra qualche decennio e poi si inizia a calare un po’ dappertutto.

La causa della crescita della popolazione attuale è più da iscrivere all’aumento (molto auspicabile) della durata della vita che non alla eccessiva natalità che sta scendendo ovunque.

Si può discutere sui diversi fattori che stanno determinando questi comportamenti, ma è impossibile negarli e, quindi, è bene adattarsi al fatto che alcuni paesi, come il nostro, siano più avanti di altri in questo processo che riguarderà tutto il mondo. Che fare a fronte di queste tendenze?

Le tendenze

Nel breve termine le migrazioni daranno una risposta concreta alla necessità di colmare alcuni vuoti, sicché una delle prime cose da fare è avviare una politica per l’immigrazione fatta di processi di integrazione, piuttosto che di respingimenti e di concentramento in campi profughi.

Nel più lungo termine sarà necessario rivedere alcuni comportamenti ed alcune politiche. Se la principale preoccupazione di molti è la possibile carenza di lavoratori sia per la produzione che per sostenere pensioni e sanità, possiamo dire che l’Italia non è mal messa.

Nel nostro paese il tasso di occupazione è tra i più bassi nei confronti con altri paesi a noi simili e ciò significa che abbiamo un largo spazio per aumentare l’occupazione anche in presenza di un calo demografico. Una simile possibilità sarebbe benvenuta anche se non ci fosse il calo demografico.

La maggiore componente di inattivi si trova tra i giovani, tra le donne e tra le persone anziane ma ancora abili. Ecco allora che politiche per favorire l’accesso dei giovani e delle donne al mondo del lavoro saranno molto utili, così come un progressivo innalzamento dell’età pensionistica rappresenterebbe un contributo non marginale alla possibile carenza di manodopera, oltre a dare un contributo essenziale alla crescita economica e alle finanze pubbliche.

Finora queste politiche si sono scontrate (anche) con una presunta carenza di offerta di lavoro da parte delle imprese: ma una simile carenza non dovrebbe più sussistere se prosegue il calo demografico, almeno a stare a quanti si preoccupano oggi di una tale eventualità.

Lo sviluppo passa (anche) dagli anziani

Un calo di popolazione non rappresenta necessariamente un declino per un paese. L’idea che solo i giovani siano propensi all’innovazione e abbiano consumi elevati non è provata e d’altro canto le tecnologie stanno evolvendo per diventare più facili e si adattano alle condizioni del mercato.

Quanto alla capacità di spesa, le persone anziane possono rivelarsi un mercato ancora più promettente di quello dei giovani: certo, diverso come beni e servizi, ma questo il mercato lo capisce bene e subito si adatta.

A fronte di un calo demografico che, almeno per i prossimi anni, sembra irreversibile, invece di fasciarsi la testa o di tentare anacronistiche battaglie per la natalità, è meglio reagire per adattare il nostro paese alle tendenze in corso, che altro non sono che il risultato delle libere scelte della gente.

Quanti ritengono che il calo delle nascite sia originato essenzialmente da incertezze e precarietà di vita dei giovani, dovrebbero ricordare che gli alti tassi di natalità sono caratteristica di paesi poveri, dove la precarietà è di casa. Anche l’Italia aveva alta natalità quando dominava l’emigrazione e la miseria del dopoguerra.

Se oggi molti giovani rinunciano alla natalità o la rinviano per ragioni economiche che non sono così drammatiche come erano nel passato, vuol solo dire che mettono la scelta di avere figli al secondo piano rispetto ad altre scelte, ciò che è ampiamente legittimo e attiene alle libere scelte di ognuno di noi. Dobbiamo e possiamo fare in modo di ridurre la precarietà dei giovani, ma sarà molto difficile che questo possa cambiare in modo radicale le loro scelte di vita.

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