Per chi vota l’antimafia? Per la prima volta la questione è complicata, molto più complicata di quanto avremmo potuto immaginare. In un mondo che si è smarrito tutti sono contro tutti, litigano, marciano in ordine sparso verso il 25 settembre dopo una lunga estate che ha segnato il confine fra il prima e il dopo. Quella che conoscevamo non c’è più, ce ne sono tante che confondono e si confondono, in comune hanno solo l’alto tasso di rissosità.

C’è una campagna elettorale parallela che si sta giocando nell’antimafia e dintorni. E le sorprese ci sono già prima del voto. Ex magistrati un tempo legatissimi e oggi su fronti opposti, familiari di vittime che mal si sopportano, famosi e meno famosi, figli e fratelli di uomini dello stato uccisi per mano mafiosa che si ritrovano su diverse sponde. Anche le più sorprendenti. È un inedito assoluto, condito purtroppo anche da “spedizioni punitive” via social con intollerabili insulti e commenti di rara grossolanità.

Un mondo che è imploso

Avevamo già scritto, un paio di mesi fa, che un’epoca si era chiusa per sempre con i vecchi padroni che hanno riconquistato il comune di Palermo e stanno per riprendersi la regione siciliana. In questo 2022, a trent’anni dagli attentati contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e a quarant’anni dalle morti di Pio La Torre e di Carlo Alberto dalla Chiesa, le elezioni politiche saranno una vetrina significativa per un’antimafia che è implosa.
Almeno sul piano simbolico la notizia sicuramente più clamorosa è quella che riguarda Rita dalla Chiesa, conduttrice televisiva sulle reti Mediaset, volto notissimo che sarà capolista in Puglia per Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi.

Da qualunque parte si guardi la vicenda, e veramente con tutto il rispetto per Dalla Chiesa, è oggettivamente un corto circuito. La figlia del generale ucciso dalla mafia a Palermo il 3 settembre del 1982 nelle liste dell’uomo politico italiano che più di altri – dagli anni di Giulio Andreotti – ha impersonato la figura dell’imprenditore in promiscuità – così raccontano tre decenni di indagini – con quella stessa mafia. Nel partito voluto da Marcello Dell’Utri, condannato per concorso esterno. Al fianco del Cavaliere che più di una volta ha definito “eroe” Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore riferimento di Cosa Nostra a Milano.

I silenzi su una candidatura

Qualcuno – per esempio Nello Trocchia sulle pagine del Domani – ha colto al volo il testacoda provocato da questa candidatura («Pregiudicato per frode fiscale si appropria di un simbolo dell’antimafia e la porta in parlamento mentre l’altra antimafia, quella militante, tace») ed è stato subito bersaglio di violenti attacchi solo per averne scritto. Per il resto, non possiamo che definire miserabili le reazioni che si sono scatenate sulla rete contro la conduttrice: squadrismo puro.

Ma alla vigilia del voto c’è uno schieramento scomposto che ribolle, che vomita risentimenti, rivendica purezza rispetto agli altri. I 5 Stelle candidano in Calabria, alla camera e al senato, l’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho e l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato.

Per le scelte manifesta “stupore” l’ex pm palermitano Antonio Ingroia capolista anche lui in Calabria con Italia Sovrana e Popolare, critico con De Raho per la cacciata dal pool stragi della procura nazionale del suo collega Nino Di Matteo e soprattutto con il vecchio amico Roberto Scarpinato perché il governo Conte – sempre a Di Matteo – negò la direzione dell’amministrazione penitenziaria. Divisioni, ancora divisioni.

Il nome come garanzia

Corre Claudio Fava con la lista "Cento Passi” in Sicilia, è candidata dal Pd di Modena in quota don Ciotti la vicepresidente di Libera Enza Rando, il centrosinistra siciliano per l’elezione del presidente della regione si è affidata a Caterina Chinnici, la figlia del magistrato fatto saltare in aria il 29 luglio del 1983 a Palermo.

Ha avuto il suo bel da fare nell’ultimo mese. Prima ha vinto le primarie in Sicilia, poi è stata abbandonata dai 5 stelle, poi ancora ha escluso dalla sua lista tre “impresentabili”, definiti tali per essere finiti sotto processo (e non ancora condannati) mentre contemporaneamente ha aperto l’alleanza a Raffaele Lombardo, ex governatore della Sicilia di cui lei è stata assessore per quattro anni, uomo politico siciliano che fa parte del passato che torna.

«Il mio nome è una storia che unisce la gente», dice Chinnici. Il nome che diventa garanzia, marchio, affidabilità. Ma, in questa antimafia così multiforme e trasversale, bastano davvero solo i nomi?

© Riproduzione riservata