I sondaggisti di tutta Europa lo ammettono ormai da molti anni. Per varie ragioni – difficoltà di campionare adeguatamente, impossibilità di raggiungere persone socialmente “periferiche”, mancate risposte, variabilità continua delle scelte – le previsioni elettorali sono molto difficili.

E infatti a ogni elezione, ovunque, si assiste a grandi soprese. Ultima, quella delle legislative francesi con la sottostima dei partiti di Jean-Luc Mélenchon e di Marine Le Pen, e la sovrastima della maggioranza macroniana. Anche in Italia gli scarti tra le previsioni fatte in occasione delle ultime due tornate elettorali politiche e i risultati delle urne sono stati molto ampi. Nessuno aveva predetto, nel 2018, un tale trionfo del M5s né una tale débâcle del Pd, e nemmeno il sorpasso della Lega su Forza Italia.

Quindi, i dati di oggi vanno presi con le molle. Tuttavia, è chiaramente in atto una tendenza alla crescita di FdI e del Pd, e al calo, sensibile, dei Cinque stelle; ma per il resto meglio mantenere la massima cautela.

Sindrome da sconfitta

Detto ciò, se si vuole ragionare con le previsioni di questi giorni non si capisce perché stia prevalendo, a sinistra, una sorta di sindrome da sconfitta. Sulla base dei numeri la destra non è vincente: è avanti di appena una manciata di punti, qualora però il campo stretto del centro-sinistra si allarghi Cinque stelle.

Certo, se si mantiene il cordone sanitario nei confronti di Conte & Co. per abbracciare i fuoriusciti di Forza Italia come Mariastella Gelmini che per vent’anni e più ha combattuto qualunque proposta della sinistra appiattendosi a un totale servilismo nei confronti del suo capo fino a votare in parlamento che Ruby Rubacuori era la nipote di Mubarak, allora la sconfitta è certa e senza remissione.

Inutile farsi delle illusioni. Solo un fronte repubblicano di tutti gli “antifascisti del 2022”, in memoria del centenario della marcia su Roma, può impedire la vittoria della destra. Se si considera tale eventualità un pericolo per le istituzioni e per la collocazione internazionale dell’Italia, allora non si può andare per il sottile nell’accettare chi vuole partecipare al barrage nei confronti della destra.

Il Rosatellum

Anche per una ragione tecnica: il sistema elettorale assegna circa 1/3 dei seggi con una competizione maggioritaria uninominale, vale a dire, chi arriva prima vince. La destra presenterà ovunque un solo candidato portandogli in dote, salvo nelle regioni rosse e nelle grandi città, una massa di voti tale per cui, se dall’altra parte ci sono più candidati, vince senza problemi.

Questo dimostra che il vero vantaggio competitivo della triade FI–Lega–FdI non risiede nella massa dei suoi consensi, bensì nella sua omogeneità politica. I tre partiti devono solo accordarsi su come distribuire i rispettivi candidati nei vari collegi. E gli elettori convergeranno senza problemi sul candidato comune perché condividono uno stesso insieme di valori e di preferenze politiche. Sanno bene cosa vogliono e, ancor di più, cosa non vogliono: niente tasse, niente immigrati, niente salario minimo o reddito di cittadinanza, niente diritti alle minoranze, briglie sciolte alle imprese per licenziare, meno intromissione dell’Ue, e così via.

Litigare su tutto

A sinistra, invece, non c’è omogeneità su quasi nulla, se non sui diritti civili e sul sostegno all’Unione europea. Per il resto, Pd e Cinque stelle, più i vari cespugli personalisti, litigano su tutto. Un tale atteggiamento non riguarda solo le élite politiche. Anche a livello di elettorato l’attitudine critica che lo connota da anni tracima al punto da creare insofferenze insormontabili.

Un esempio per tutti: l’indisponibilità della sinistra romana a (ri)votare per Francesco Rutelli nel 2008, nonostante la sua eccezionale performance come sindaco dal 1993 al 2001, lasciando così la capitale in mano alla destra post nostalgica di Gianni Alemanno.

Per vincere vanno fatti dei sacrifici. Come in tutti i sistemi maggioritari non si vota solo “per”, ma anche “contro”. Il grande successo di Tony Blair nel 1997 non dipese tanto e solo dalla accattivante proposta politica del New Labour, quanto da una ondata di insofferenza e ostilità verso i conservatori.

Quindi la condizione indispensabile per un possibile successo della sinistra sta nella capacità di costruire un campo larghissimo superando la pulsione a distinguersi gli uni dagli altri, per un obiettivo minimo ma fondamentale: evitare una deriva orbanana-trumpiana al nostro paese.

 

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