Di solito, quando si parla di carcere tutto risulta molto prevedibile, anche parlare di queste vite di scarto, dei silenzi di Stato, dei pestaggi e dei depistaggi. Sui fatti di Santa Maria Capua Vetere, dei quattordici morti tra i detenuti durante le rivolte, tutti morti per overdose da metadone, così recita la documentazione ufficiale del Ministero della Giustizia siamo un po’ meno omertosi. Insomma il potere dei simboli e il delitto politico. Mostrificare gli uni per assolvere gli altri, ovvero se stessi, lo Stato nelle carceri disumane, i suoi registi e i suoi manovali.

E menomale che i filmati della mattanza di Santa Maria Capua Vetere suscitano ancora profondo turbamento, grande preoccupazione e indignazione.

Dai filmati della mattanza, dall'ordinanza della magistratura sappiamo anche che, tra i 283 che commettevano episodi criminosi ai danni dei detenuti di S. Maria Capua Vetere, uno solo ha cercato di frapporsi e di limitare le violenze sui diversamente liberi. Una percentuale che dovrebbe preoccupare seriamente tutti i cittadini e le istituzioni ai vari livelli.

Provo rammarico, amarezza nel vedere agenti che commettono un reato e non sono perseguibili perché protetti da caschi, perché sulle divise non hanno un numero di identificazione.

Sperando, contro ogni speranza, mi auguro che prima o poi si arrivi a questa identificazione. Ma perché non iniziamo almeno a mettere i numeri di identificazione sui caschi, in questo caso degli agenti penitenziari ma più in generale sui caschi di tutte le forze dell'ordine? Eppure ci sono politici e qualche giornale che continuano a difendere l'indifendibile, distratti e omertosi a un anno dai fatti che io ho denunciato. Amnesie e rimozioni anche di fronte all'inchiesta della procura, ai video, alle chat degli indagati.

Noi Garanti svolgiamo un ruolo di terzietà, siamo osservatori, svolgiamo un compito di supporto, controllo, stimolo, denuncia. Siamo capaci di uno sguardo multiplo e riassuntivo, di ascolto e condivisone. Eppure contro di me è già partita da un anno la virulenta campagna di attacco e delegittimazione di alcuni sindacati di polizia penitenziaria.

Sarebbe, tuttavia, sbagliato prendere spunto da questa drammatica vicenda casertana per formulare giudizi di generalizzata censura nei confronti dell'intero corpo della polizia penitenziaria.

Ecco il carcere non può essere per la politica una risposta semplice a bisogni complessi. Occorre decarcerizzare e depenalizzare. Il carcere, e la giustizia in generale, non può diventare una questione di schieramenti, di appartenenze e tifoserie.

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