Case di riposo e Rsa vanno chiuse. Non si tratta di una posizione ideologica ma di onesta constatazione: i numeri degli anziani morti in istituto, e che continuano a morirvi, sono troppo alti per non trarne le dovute conseguenze.

Oltre alla criminale incuria in cui sono stati lasciati in alcuni – troppi –  casi e su cui la magistratura sta indagando, abbiamo toccato con mano quanto sia disumano istituzionalizzare la vita, soprattutto quella fragile.

Il Covid è stato un’atroce rivelazione ma la situazione negli istituti era già aberrante. Chi cavilla su tali riscontri non accetta la realtà e ciò vale anche per i disabili e per le altre fragilità.

È facile da capire: nessuno potrà mai chiamare “casa” l’istituto, la casa di riposo o la Rsa, mentre il dovere civico della società è di offrire qualcosa che sia il più possibile “famiglia”. Ciò vale anche per i senza famiglia. È nostra responsabilità collettiva dare ai nostri vecchi la stessa cosa che abbiamo dato ai bambini chiudendo gli orfanotrofi. Al loro posto sono state create residenze di tipo familiare e si è spinto sull’affidamento.

Nessuno nega che gli istituti abbiano reso grandi servigi ma la civiltà dell'assistenza evolve e il 31 marzo del 2009 è stato chiuso l'ultimo istituto per minori in Italia. Uno sforzo identico va fatto per superare il sistema Rsa. Ormai è chiaro che istituzionalizzare la vita è sbagliato: ognuno ha diritto a vivere in un contesto che possa chiamare famiglia, ravvicinato e a dimensione umana.

Per quanto buona sia, un’istituzione non potrà mai avere tali caratteristiche. Superare l’istituzionalizzazione è un dovere etico: non possiamo accettare che il dono di una vita più lunga si trasformi nell’anonimato della solitudine.

Significa condannare molti a morire prima del tempo: un terribile scandalo frutto della deresponsabilizzazione e della pigrizia mentale.

Davanti alle difficoltà concrete delle persone e delle famiglie, una società responsabile offre alternative di sostegno umane e di prossimità. Le proposte già esistono e funzionano in varie regioni italiane: cohousing, cioè case in comune e convivenze; domiciliarità; case e condomini protetti.

L’esperienza dimostra che si può andare verso un sistema che non isoli gli anziani dal contesto sociale né dalle altre generazioni, permettendo loro di sentirsi vivi e utili anche se particolarmente fragili.

Il governo ha appena istituito le unità speciali di continuità assistenziale per  malati di Covid a domicilio: si può fare lo stesso per gli anziani.

È falso sostenere che l’assistenza diffusa sul territorio (così come la sanità) sia più costosa dell’istituzionalizzazione: i costi di quest’ultima sono sempre elevatissimi. Non si tratta di una questione di soldi: gli anziani sono morti anche laddove la retta era molto alta.

Cambiamo mentalità: superare l’istituto è una conquista civile per tutti.

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