Comincerà il 29 gennaio a Budapest il processo nei confronti di Ilaria Salis, la cittadina italiana che da quasi un anno è in detenzione preventiva nel carcere di massima sicurezza della capitale ungherese.

Ilaria Salis è accusata dell’aggressione a tre militanti dell’estrema destra durante il cosiddetto Giorno dell’Onore, una commemorazione che ogni 11 febbraio riunisce a Budapest centinaia di neonazisti. L’imputazione dei pubblici ministeri ungheresi è di “atti potenzialmente idonei a provocare la morte”, nonostante le lesioni subite dalle vittime dei presunti assalti - che non hanno sporto denuncia - siano state ritenute guaribili con prognosi di 5-8 giorni.

Per quell’accusa, Ilaria Salis rischia fino a 24 anni di carcere. Lei si è sempre dichiarata innocente.

Maltrattamenti

C’è una prima questione di diritti, legata al trattamento carcerario. Come reso noto dai suoi familiari e dai suoi legali, solo all’inizio dello scorso settembre - dunque, quasi sette mesi dopo l’arresto - Ilaria Salis ha avuto la possibilità di contattare i genitori, descrivendo le condizioni detentive degradanti cui era sottoposta: topi e scarafaggi in cella, cibo scarso, meno di tre metri e mezzo di spazio a disposizione, l’umiliazione di essere trascinata alle udienze legata e tenuta al guinzaglio da un agente di scorta.

Ilaria Salis ha anche raccontato di essere rimasta otto giorni in cella di isolamento senza prodotti per l’igiene personale (carte igienica, assorbenti e sapone) e di aver ricevuto dall’ambasciata vestiti di ricambio e un asciugamano solo 35 giorni dopo l’arresto.

Fino a quel momento era stata costretta a indossare gli indumenti consegnatile al momento dell’ingresso in carcere, senza possibilità di cambiare biancheria intima, indossare indumenti igienicamente consoni o avere a disposizione un asciugamano per fare la doccia.

Pena sproporzionata

Le carenze strutturali del sistema carcerario ungherese, dove peraltro nel 2023 si è registrato il numero più alto di detenuti dal 1990, sono state più volte evidenziate dal Comitato Helsinki Ungheria e da Amnesty International: sovraffollamento, cattive condizioni igienico-sanitarie, anni di investimenti insufficienti e scarso ricorso a misure cautelari alternative.

Su questa situazione e in attesa di ricevere ulteriori informazioni da parte ungherese, la Corte d’appello di Milano ha negato l’estradizione di un altro cittadino italiano, Gabriele Marchesi, raggiunto dagli stessi capi d’imputazione di Ilaria Salis.

Il sostituto procuratore della Corte ha anche sottolineato la sproporzione tra la relativa modestia dei fatti contestati e l’enormità della pena prospettata.

Il secondo aspetto preoccupante, segnalato dai legali e dalla famiglia di Ilaria Salis, riguarda la mancata traduzione di una parte degli atti processuali, incluse le perizie mediche sulle persone ferite, al momento accessibili esclusivamente in ungherese, nonché l’impossibilità della detenuta di visionare i video depositati come prove incriminanti: circostanze, queste, che violano il diritto a un processo equo, sancito dalla Convenzione europea dei diritti umani, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e da norme derivate.

Ambasciata inerte

I legali ungheresi di Ilaria Salis hanno più volte presentato istanza per chiedere che le misure cautelari fossero svolte nel paese di residenza dell’imputata, in ottemperanza alla Dichiarazione Quadro 2009/829/GAI del Consiglio, ma le richieste sono sempre state rigettate senza che l’ambasciata italiana, nonostante esplicita richiesta della famiglia, facesse alcun atto concreto per appoggiarle.

Le autorità italiane hanno dichiarato che i nostri organi consolari hanno effettuato regolari visite nel carcere in cui Ilaria Salis è reclusa, per verificarne le condizioni di detenzione. Tuttavia, non risulta che finora siano state fatte rimostranze ufficiali alle autorità ungheresi.

Su tutti questi aspetti, Amnesty International Italia ha scritto alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al vicepresidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri Antonio Tajani, al ministro della Giustizia Carlo Nordio e, per conoscenza, all’ambasciatore italiano in Ungheria Manuel Jacoangeli chiedendo urgentemente al governo italiano di intraprendere ogni azione possibile per garantire i diritti fondamentali a Ilaria Salis e rispondere alle richieste dei legali e della famiglia di adoperarsi per consentire che l’imputata possa affrontare il processo in Italia.

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