Il M5s aveva designato Giuseppe Conte a capo del governo come punto di equilibrio con la Lega e per la sua immagine compassata, da borghesia delle professioni, estranea ai furori del grillismo. Una scelta rassicurante, dopo le tensioni provocate dalla proposta d’impeachment per il presidente Mattarella invocata dal duo Di Maio-Di Battista.

Questo alieno della politica si era definito all’epoca l’ “avvocato del popolo”, forse con un involontario richiamo alla celebre definizione della principessa Diana coniata all’indomani della sua morte da Tony Blair. Conte ha poi compiuto il suo apprendistato alla politica fino a rivelare una postura da leader nello scontro diretto con Matteo Salvini, in Senato, il 20 agosto del 2019.

Il leader della Lega non aveva capito che la decisione del M5s di votare Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea segnava uno spartiacque nella politica del M5s. Era finita la fase movimentista e barricadiera, iniziava l’epoca della responsabilità a cui seguiva, inevitabilmente, l’incontro con il partito “responsabile” per eccellenza, il Pd. Certo, sarà stato arduo per Di Maio resistere alle lusinghe di Salvini che lo voleva a capo di un nuovo governo giallo-verde, ma la scelta pro-europea ormai escludeva quella strada.

In effetti, rileggere i passi relativi alla collocazione internazionale dell’Italia nel discorso di investitura di Conte consente di fare piazza pulita delle sciocchezze sul suo “filo-putinismo”. Era improbabile che tutti i leader politici alleati che si erano felicitati per la sua nomina, con punte di entusiasmo fino al celebre “Giuseppi” di Donald Trump, fossero così sprovveduti. Conte ha rivestito l’abito dell’avvocato del popolo quando è scoppiata la pandemia.

Il suo eloquio paludato, la sua mise sempre composta, la sua espressione seria ma tranquilla di chi è, o almeno appare, in controllo degli avvenimenti lo hanno portato a livelli di consenso inediti per un capo del governo in carica da quasi due anni. Si riversava su Conte il carisma della funzione, esercitata in un momento così drammatico.

Il presidente del Consiglio esprimeva perfettamente il bisogno di rassicurazione dell’opinione pubblica, ma la sua funzione si esauriva in quell’ambito. Perso il ruolo di capo del governo Conte non è stato in grado di incarnarne uno diverso. Si è perso nell’arena politica. La discesa della sua stella è iniziata allora, privato dell’alleato più stretto, Nicola Zingaretti improvvisamente dimessosi da segretario Pd, e sconfessato platealmente da Beppe Grillo al momento della sua investitura come capo politico. La scissione di Di Maio prende corpo in quel frangente. Perché Conte non è più una risorsa elettorale imprescindibile. Il resto è venuto di conseguenza.

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