Accentando di assumere l’incarico di segretario del Pd, Enrico Letta assesta uno schiaffo all’antipolitica e rinobilita l’attività  politica. Lasciare la direzione della Scuola di Studi Internazionali della prestigiosa Sciences Po di Parigi per tuffarsi nella lotta politica quotidiana dimostra che la passione per la politica sormonta anche interessi personali.

Non è una impresa facile quella che attende Enrico Letta. Il Partito democratico è sotto shock per il doppio colpo della caduta del governo e delle repentine, drammatiche dimissioni di Nicola Zingaretti.

Il segretario poteva chiedere un chiarimento nella assemblea nazionale già convocata per domani, ma seguendo il pessimo esempio dei suoi predecessori (Walter Veltroni e Massimo D’Alema) ha gettato la spugna improvvisamente, con un gesto teatrale e parole inopportune. E, ancora più grave, si è affidato ai social network e ai talk show per spiegare la sua scelta, senza attendere di parlare nella sede ufficiale del partito.

Anche chi proviene dalla “vecchia scuola” dei partiti organizzati, alla fine ha ceduto alle seduzioni della comunicazione esterna. Un ulteriore schiaffo agli organi collegiali di partito, già da tempo mortificati come  luogo di dibattito. Per rimettere in carreggiata il Pd, il nuovo segretario dovrà partire da questo deficit di comunicazione sia a livello centrale, tra le varie componenti della classe dirigente, sia tra il centro e la periferia. 

C’è un problema di ascolto e di dialogo nel Pd che appare sempre impegnato a gestire e a fare, e mai a riflettere su cosa fare e gestire. Per questo è opportuno che venga convocato quanto prima un congresso vero, fatto per discutere, non un ennesimo beauty contest da primarie.

Il problema è che nel bizzarro statuto del Pd il congresso, come è concepito da sempre e ovunque – delegati che riuniscono per confrontarsi e votare – non esiste: non è previsto come momento culminante di un processo deliberativo. Al suo posto è attivabile un percorso di discussione di “tesi” che vengono poi portate nella assemblea nazionale. Quando la corrente renziana chiede un congresso non pensa a questa modalità, bensì alle primarie che però non prevedono nessun momento congressuale.

Enrico Letta ha di fronte una doppia sfida: rimobilitare un partito sfilacciato e depresso, e ripristinare quella stima e considerazione che il Pd sta perdendo. 

Il profilo intellettuale e il riconoscimento internazionale del futuro segretario rendono tutto sommato agevole quest’ultimo compito. Ma queste doti non bastano per contrastare lo sfarinamento interno: lì dovrà esercitare un ruolo di leadership, di guida forte, mettendo in conto anche momenti di scontro interno. Una leadership unanimista non serve al Pd.

© Riproduzione riservata