Il Pnrr ha nell’innovazione uno dei suoi obiettivi centrali. E l’innovazione è anche di tipo gestionale, soprattutto nel settore dei servizi di trasporto. Michael O’Leary, che ha di fatto rivoluzionato il settore aereo in Europa introducendo i servizi low-cost con la RyanAir, ha ridotto in media del trenta per cento le tariffe per tutti i viaggiatori europei, perché anche la concorrenza delle superprotette compagnie aeree nazionali ha dovuto adeguarsi per sopravvivere.

Ora, il settore dei trasporti ferroviari è quello su cui, per ragioni ambientali, l’Europa e l’Italia puntano molto sul piano infrastrutturale. Ma l’attuale gestione gestionale delle ferrovie appare arcaica, oltre che costosissima per le casse pubbliche (circa 12 miliardi all’anno di trasferimenti netti, di cui 4 in un fondo pensioni “speciale).

La rete ferroviaria è un “monopolio naturale”, ma i servizi non lo sono, tecnicamente sono apribili con successo alla concorrenza, come dimostrano sia esperienze straniere (anche nelle ferrovie locali) che italiane (si veda l’alta velocità con due operatori, e i servizi merci con molteplici operatori).

Ma l’innovazione potenzialmente più rilevante è possibile proprio nella gestione della rete. Perché un concessionario unico, interamente pubblico, e con una concessione praticamente eterna (scade nel 2079)? Nessuna altra concessione, di qualsiasi infrastruttura, di trasporto o meno, ha caratteristiche simili. Un paragone possibile è solo con le forze armate.

Il concessionario pubblico poi si trova in posizione di radicale conflitto d’interessi con gli erogatori privati dei servizi ferroviari che utilizzano la rete, percorsa anche da servizi pubblici concorrenti (merci e alta velocità gestiti dal proprietario della rete). E’ come se un grande aeroporto fosse gestito da una compagnia aerea.

 Purtroppo anche l’Europa ha un “occhio di riguardo” per le gestioni ferroviarie, ammettendo la sola separazione contabile tra servizi e infrastruttura, che ovviamente non elimina il conflitto di interessi.

La gestione di monopoli naturali non ha nessuna ragione tecnica per essere unitaria. Deve solo tener conto delle possibili economie di scala, che certamente esistono ma altrettanto certamente non coincidono con i confini nazionali.

Innanzitutto, perché non misurarle, come ha fatto l’Autorita’ indipendente per la Regolazione dei Trasporti (ART) per la rete autostradale, dove un ordine di grandezza minimo ragionevole è stato trovato intorno ai 300km?

Ma in assenza di tale misurazione, immaginiamo per prudenza una soglia elevata, di “macroregioni” quali potrebbero essere nord-centro-sud e isole. Cioè dimensioni di diverse migliaia di chilometri di linee, che certo garantiscono economie di scala adeguate.

La gestione potrebbe essere messa in gara periodica, della durata di una decina di anni (non di più, per limitare i fenomeni di “cattura del regolatore”, come è avvenuto per le autostrade, ma non di meno per consentire il pieno dispiegamento di strategie industriali). Gli spazi di azione del gestore della rete per ogni macro-area sono duplici: da un lato la manutenzione ordinaria e straordinaria e, dall’altro, il controllo della circolazione dei treni.

Questi gestori potrebbero anche supportare la liberalizzazione del trasporto locale ferroviario, in Italia politicamente ancora bloccata. Inoltre, incassando le tariffe per l’uso della rete, avrebbero forti motivazioni a massimizzarne l’uso, abbassandole sulle tratte meno utilizzate, e alzandole su quelle più cariche. Oggi il conflitto di interessi impedisce a Trenitalia di massimizzare l’uso della rete. Celebre è stato il caso di un privato, la società Arena, che chiese di operare servizi locali aggiuntivi sulla rete piemontese senza chiedere alcun sussidio pubblico. Il contratto di cui godeva Trenitalia glielo impedì.

Verrebbe anche da pensare che l’episodio non svela solo il conflitto di interessi, ma anche l’oggettiva possibilità di ridurre radicalmente i costi dei servizi (come si è verificato in Germania quando molti servizi regionali messi in gara sono stati aggiudicati a compagnie ferroviarie minori, anche non tedesche).

Cosa ci sarebbe comunque da perdere a sperimentare iniziando a mettere in gara una macroregione? Se le offerte non risultassero migliorative rispetto alla situazione esistente, o i concorrenti non sufficientemente qualificati, tutto rimarrebbe immutato. Anzi, forse accadrebbe quel che è successo nella già citata Germania: solo la minaccia di gare ha indotto il monopolista DB ad abbassare i costi e a migliorare i servizi locali.

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